Torna di moda il mito della chitarra Nell’aria il profumo degli anni ’60

Dopo anni di crisi del mercato, la pandemia ha spinto le vendite: +15%. Il lockdown ha fatto il miracolo

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di Giorgio

Comaschi

Le vendite di chitarre in tutto il mondo sono cresciute del quindici per cento rispetto all’anno precedente, a fronte di una domanda descritta dagli addetti come "senza precedenti" e in continua crescita, dopo essere stata, secondo molti, condizionata dagli effetti della pandemia da Coronavirus. Il volume di vendite complessive di chitarre acustiche ed elettriche è passato da circa 6,8 miliardi di euro nel 2019 a circa 7,8 miliardi nel 2020, di cui 1,4 miliardi soltanto negli Stati Uniti. Fender e Gibson, i due colossi a stelle e strisce più famose e celebrate nel mondo, hanno entrambe affermato di aver incrementato le vendite durante tutto l’anno scorso, dopo un lungo periodo di difficoltà economiche, e che la tendenza positiva è proseguita nei primi due trimestri del 2021.

Allora bentornata vecchia chitarra, ci sei mancata molto. Dov’eri finita? Forse nei solai, nelle cantine, negli armadi, nei retri della nostra vita. Avevi fatto una faccia brutta (le chitarre si sa, hanno una faccia). Corde mancanti, legni scricchiolanti, polvere sul manico, tutto stonato, tutto scordato. Ci eravamo "scordati" anche noi. Ci eravamo scordati la chitarra che negli anni Sessanta e Settanta ci ha tenuti in piedi nei rapporti con gli amici. Spuntavano due cose appena c’era un gruppo di gente che si radunava: il vino e le chitarre.

E giù a sgranare ’La bambolina’ di Polnareff o ’La canzone del sole’ cantata da Lucio Battisti. Scattava "Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi…". E tutti partivano con un "Eeeeeeh!" e via a cantare. Gli occhioni delle ragazze sognavano. I ragazzi osavano una mano sulla spalla, ci si avvicinava, soprattutto in spiaggia, sugli sdrai o seduti sulla sabbia. Quello che suonava la chitarra (parlo per esperienza personale) si beccava solo dei "Bravo!", o dei "Fanne un altra dai!" e rimaneva a bocca asciutta. C’erano quelli che "imbonivano" – termine tecnico degli anni Settanta – e quelli che suonavano la chitarra. Ma era bello, era romantico.

Imbracciare una chitarra, mentre gli altri "imbracciavano" una ragazza o un ragazzo. Poi pian piano è cambiato il mondo. Sono arrivate altre mode, quelli che suonavano la chitarra in spiaggia hanno trovato finalmente qualcuna che li ha sposati, i giovani si sono buttati sulla strada dello shake, del ballo sfrenato, dei mangiadischi, e purtroppo anche su altre cose. Le cantine, piene di cantautori alla Guccini, che facevano sentire i loro pezzi nuovi in un’atmosfera di fumo leggendario (e senza uscite di sicurezze), si sono vuotate, gli osti hanno cominciato a servire tomini con la rucola e maccheroncini al salmone, i vini sono diventati nettari preziosi ed è cambiato tutto. La gente è stata un po’ più sola. O magari si è aggregata in un altro modo, anziché attorno a uno con la chitarra. Adesso chissà.

Lo stare chiusi, il virus, il bisogno di ritrovarsi, di stare insieme, di cantare hanno fatto il miracolo. Sono rispuntate e nelle case di studenti si è ricominciato a sentire, dal pianerottolo quel suono, "sdin sdleng", di qualcuno che sta accordando una chitarra. E si è sentito cantare. E stonare, come una volta, perché il bello di prendere una chitarra, anziché cimentarsi con il gelido karaoke da computer e da testi che scorrono a gobbo, è sempre stato anche quello di stonare, liberi, e frega niente di niente. Quel momento di evadere. Cantando. Che è poi l’evasione sana che sognavamo tutti, quella per la quale niente e nessuno ti può arrestare. Solo, forse, un secchio d’acqua che arriva giù da una finestra di chi non riesce a dormire.