Elezioni comunali Torino, il centrodestra ci crede. La parentesi 5 Stelle è già chiusa

Appendino non corre, la partita è tra l’imprenditore Damilano e il dem Lo Russo, ex assessore di Fassino

Paolo Damilano, classe 1965, è il candidato del centrodestra a Torino

Paolo Damilano, classe 1965, è il candidato del centrodestra a Torino

Conteranno anche le briciole, i ripensamenti dell’ultima ora. L’imprenditore delle acque minerali e il professore di geologia si giocano la partita su una previsione dallo scarto irrisorio, i tre punti di vantaggio al primo turno che le ultime previsioni segnano a favore del centrodestra. Torino è la città dove l’esito resta più enigmatico. E dove ad alzare la temperatura di una tiepida campagna elettorale fra quasi amici ci è voluto il malore di Paolo Damilano, il favorito, fermato ieri e per 24 ore dai contraccolpi dello stress. Immediati, sui social, gli auguri di pronto recupero da parte dello sfidante dem Stefano Lo Russo, l’unico che possa capire davvero: "Sono giorni impegnativi e faticosi. Conto di rivederlo presto per le strade della città".

La città. E la sua condanna a trovarsi sempre a un bivio: di qui il precipizio di un declino annunciato, di là il trampolino per invertire la rotta. Il centrodestra non vince da decenni. Il centrosinistra nel 2016 è stato preso in pieno dal meteorite Appendino. Minimo un malore è da mettere in conto. Salvini è stato rassicurato proprio da "Paolo" e in maniera indiretta da Francesco Boccia, che si è speso fino all’ultimo per arrivare a un’alleanza fra Pd e grillini in caso di ballottaggio. Tutto inutile. La sindaca uscente ha già detto no, Giuseppe Conte anche. E a sinistra non ci tengono proprio. "Sono nel panico – scappa detto al capo della Lega –. Il centrodestra fa proposte sul lavoro, l’ambiente, la Torino del futuro. E loro parlano di fili spinati in caso di sconfitta".

A margine del testa a testa Valentina Sganga, pasionaria 5Stelle, terzo incomodo di lotta e di governo nella secca delle basse percentuali in cui si è incagliato il movimento. A lei il compito di difendere e sistematizzare l’eredità della giunta Appendino: chi lo ritiene impossibile la accusa di cercare la discontinuità nella continuità, ma anche viceversa. E allora restano in due.

Paolo Damilano, 55 anni, diploma di ragioneria e studi interrotti a Scienze Politiche, ex pilota di rally, ci tiene a essere considerato un torinese doc. Con il fratello Mario e il cugino Guido è a capo di un gruppo che, nel 2019, fatturava 75 milioni l’anno e che prima di estendersi alla ristorazione aveva come caposaldi la storica cantina di Barolo di famiglia e il controllo di sette marchi di acque minerali (Alpi Cozie, Fonte delle Alpi, Martina, Monviso, Mugniva, Sparea e Valmora). Quando ha accettato la candidatura si è dimesso da tutti gli incarichi che occupava all’interno delle società per evitare l’ombra del conflitto di interesse su cui si sarebbero fiondati gli avversari. Ha in mente "una Torino bellissima".

Una Torino dove "anche i cittadini extracomunitari regolari possano aspirare a condividere tartufi e barolo" (e qui gli avversarui si sono fiondati). Con il settore pubblico ha già fatto conoscenza: è presidente della Film Commission piemontese, ha avuto incarichi al Museo dei Cinema. Una palestra, dice. Ha amato Bjorn Borg in quanto "innovatore di un tennis che pareva immobilizzato". Nelle prime uscite ha proposto una pista da sci in città. Per attirare turisti a cinque stelle vuole puntare sui campi da golf. Nell’Unico 2019 dichiarava un reddito complessivo di 391.290 euro contro i 106.211 di Stefano Lo Russo, 45 anni, docente al Politecnico e capogruppo del Pd in consiglio comunale.

È professore associato di Geologia applicata, Geografia fisica e Geomorfologia e da geologo definisce Torino "un terreno potenzialmente molto solido che però richiede delle iniezioni di consolidamento, occorrono malte cementizie che rimettano insieme i diversi pezzi che si sono slegati in questi anni". È il candidato forgiato col ferro e col fuoco da anni di scontri senza sconti con la Appendino e le correnti dentro al Pd, all’attacco però in stile sabaudo.

Guarda al passato. Agli errori del 2016, ma anche alla progettualità delle giunte progressiste dei tempi d’oro: "Dobbiamo recuperare lo spirito che ha caratterizzato la città in alcuni passaggi storici. Quello che io uso come modello è proprio il momento in cui il sindaco era Sergio Chiamparino, che ha rappresentato per la città un momento di svolta".

Chiamparino ricambia la stima: "A Torino serve un leader urbano, non un piacione da aperitivo".