Tocca alla cannabis, è l’anno dei referendum

Dopo giustizia ed eutanasia parte anche la terza raccolta. Successo delle firme digitali. Le ultime consultazioni abrogative risalivano al 2011

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di Ettore Maria Colombo

Prima l’incontestabile successo dei referendum sulla giustizia lanciati da Lega e Partito radicale: con 600mila firme sicure, ormai quasi 800mila, si va verso il milione di firme su sei quesiti, alcuni dei quali davvero molto tecnici. Poi, il bis della raccolta di firme in calce al referendum per l’eutanasia legale. In questo caso, peraltro, il motore è solo una piccola, ma agguerrita associazione, la Luca Coscioni, appoggiato da parlamentari ma a titolo personale. Il referendum, solo grazie al passaparola, viaggia già verso il milione di firme, di cui 300 mila digitali, grazie a un emendamento inserito di straforo nel dl Semplificazioni dal deputato di +Europa, Riccardo Magi, che permette a chi è dotato di Spid e firma digitale di votare pure da casa.

Ieri, il lancio ufficiale della campagna per un nuovo quesito referendario, stavolta la cannabis. La raccolta firme per un referendum (e fa tre… ) sulla depenalizzazione dell’uso della cannabis è iniziata solo ieri e dovrà concludersi entro il 30 settembre, come vuole la legge. Il quesito che è già stato depositato presso la Corte di Cassazione punta a intervenire sul piano della rilevanza penale e su quello delle sanzioni amministrative. A proporlo è un gruppo di esperti, giuristi e militanti coordinati dalle Associazioni Luca Coscioni, Meglio Legale, Forum Droghe, Antigone, Società della Ragione. Alla proposta hanno preso parte anche rappresentanti dei partiti di +Europa, Possibile" e, ovvio, Radicali italiani. Per non dire di Matteo Renzi che annuncia, "presto" (ma in questo caso la raccolta firme ancora non è partita) una raccolta di firme (e così fa quattro) per abrogare il reddito di cittadinanza. Insomma, un profluvio di referendum, come se piovessero, e milioni di italiani che rispondono sì.

Certo, è pur vero che almeno una volta andava di moda la ‘referendite’. Da quando la legge istitutiva del referendum abrogativo venne applicata (soltanto nel 1970) ci fu, nel Paese, una vera e propria ‘passione’ per i referendum. Quelli storici per il divorzio (1974) e l’aborto (1981), promossi sempre dal Partito radicale, e vinti a dispetto della maggioranza filo-Dc e, anche, di un Pci assai scettico sullo strumento, passando per quello sul nucleare (1987), fino a quelli elettorali avanzati da Mariotto Segni che, nel 1991 (abolizione della preferenza unica) e nel 1992 (introduzione, di fatto, del sistema elettorale maggioritario), infersero un colpo di maglio definitivo all’allora già agonizzante Prima Repubblica.

Al netto di alcuni clamorosi insuccessi (caccia nel 1990, giustizia nel 1997, altri elettorali nel 1999), cioè di mancato raggiungimento del quorum (il 50,1% degli elettori) funzionavano sempre. A oggi, sono passati più di dieci anni dall’ultimo referendum che ottenne il quorum (l’acqua pubblica nel 2011) e, nel frattempo, le campagne referendarie, ormai, godevano di pessima salute. Insomma, sembrava che gli italiani si fossero stancati di firmarli e votarli. E, invece, ecco la clamorosa novità dell’estate, e pure la nuova ‘moda’: si chiama ‘referendite’…