Tim, i francesi aprono alla rete unica di Stato

Mentre l’offerta del fondo Usa è sotto analisi, il colosso Vivendì dà il via libera a un asse con Cdp. Così sarà garantita la permanenza in Italia

di Antonio Troise

Prove di rete unica delle telecomunicazioni. Con la benedizione di Palazzo Chigi, il controllo dello Stato attraverso Cdp e l’appoggio, arrivato a sorpresa, del socio francese, Vivendi, primo azionista di Tim, che fino a ieri si era opposto con forza a qualsiasi ipotesi di scorporo dell’infrastruttura. Tutto avviene a ridosso della riunione del Comitato strategico dell’azienda, presieduto da Salvatore Rossi, per la scelta degli advisor che dovranno valutare l’offerta arrivata dal fondo statunitense Kkr per il 51% della società.

Tra i nomi che circolano figurano in particolare quelli di Bank of America, Barclays e Banca Imi (Intesa Sanpaolo), ma non sono da escludere sorprese. Fino al 17 dicembre, data dell’ultimo cda prima della fine dell’anno, è improbabile che l’Opa (già bocciata da Vivendi) faccia passi in avanti. Ma potrebbe invece avanzare, con forza, il vecchio e mai abbandonato progetto della "rete unica", scorporata da Tim e sotto il controllo di Cdp, che ha già in portafoglio il 60% di Open Fiber, l’ex società creata da Enel che sta portando nelle case degli italiani la fibra ultraveloce. A favore dell’accordo gioca, anche, la Golden Power che in ogni caso il governo italiano potrebbe esercitare nel caso di un passaggio di mano della società. Ad accelerare il piano sulla rete unica è stata la mossa di Vivendi che, nel fine settimana e a mercati chiusi, in una nota, ha aperto ufficialmente la porta al controllo statale della rete.

"Puntiamo a riportare Tim su una traiettoria di crescita. Le valutazioni in corso vertono su questo obiettivo. Vivendi – dichiara un portavoce del gruppo francese – è interessata a qualsiasi soluzione che promuova l’efficienza e la modernità infrastrutturale della rete, preservando il valore del proprio investimento. In questa l’ipotesi di un controllo statale della rete, se fosse propedeutico ad un progetto strategico a guida istituzionale verrà certamente valutata con apertura". Il tema sarebbe stato affrontato, nei giorni scorsi anche in un incontro riservato fra l’amministratore delegato di Cdp, Dario Scannapieco e i vertici della multinazionale francese. I presupposti, insomma, per un accordo ci sono tutti.

Anche perché l’intesa avrebbe un doppio vantaggio: metterebbe fuori gioco gli americani di Kkr, che vorrebbero prendere il posto di Vivendi in Tim e, inoltre, assicurerebbe alla mano pubblica il controllo di una infrastruttura strategica (anche dal punto di vista della Difesa) come quella delle rete di telecomunicazioni. Da parte loro, i francesi si concentrerebbero sulla commerciale e dei contenuti, nell’ottica di un gruppo sempre più proiettato nell’offerta di contenuti misti (telefonia e multimedia). Naturalmente, siamo solo al primo tempo di un’operazione che non è semplice. In primo luogo c’è da valutare il valore della infrastruttura targata Tim e che, secondo gli analisti, rappresenta l’asset più pregiato della società. Le ultime stime si attestano sui 15 miliardi di euro. C’è poi l’incognita dei mercati. Un eventuale accordo fra Vivendi e Cdp, vale a dire fra i due principali azionisti di Tim (il primo con una quota del 24% e il seconda di quasi il 10%) potrebbe aprire lo scenario di un’Opa, ipotesi che per ora viene categoricamente esclusa.