Giovedì 25 Aprile 2024

Thoeni: "Mai stato separatista. Con me la gente scoprì la settimana bianca"

Il grande sciatore altoatesino: "L’inno di Mameli mi riempie di gioia. Dopo la valanga azzurra la montagna diventò meta di massa"

Gustavo Thoeni, 70 anni

Gustavo Thoeni, 70 anni

"Io mi sono sempre sentito italiano. Lo ero quando dicevano avessi fatto innamorare dello sci il Bel Paese e lo ero quando il mio allievo Alberto Tomba scatenava entusiasmi dalle Alpi alla Sicilia. Sono orgoglioso della mia storia. E del mio passaporto".

Oggi Gustavo Thoeni compie settant’anni. Per intere generazioni è un mito. Quattro coppe del Mondo, due titoli iridati, un oro e due argenti alle Olimpiadi. Azzurro di Trafoi, altoatesino non sempre a suo agio con la lingua di Dante, in tempi in cui nel Sud Tirolo era fresco il ricordo delle bombe.

Ma lui, Gustavo, è italiano dentro, senza concessioni alle diversità etniche. Siamo amici da un sacco di tempo ed è stato bello fargli gli auguri per il compleanno.

"Quando sentivo suonare le note dell’inno di Mameli per le mie vittorie ero contento – spiega Gustavo, nonno di undici nipoti –. L’Italia è la mia patria. Non ho mai creduto alle esasperazioni identitarie".

Forse anche per questo andava d’accordo con l’italianissimo Tomba.

"Alberto è sempre stato un fenomeno. Per certe cose sembrava uscito da un film di Monicelli o di Sordi. Un personaggio unico, che aveva regalato allo sci alpino atmosfere da stadio".

Magari per un altoatesino convivere con un bolognese non era tanto semplice.

"Ma no, era facile! Non ci crede nessuno, eppure a tavola quello che raccontava le barzellette ero io, mica lui".

Insieme avete segnato un’epoca.

"Di me raccontavano che avessi fatto scoprire all’italiano medio la settimana bianca, le vacanze sulla neve...".

Beh, è vero.

"Ma non ero solo! Ci fu l’epopea della Valanga Azzurra, con Pierino Gros e gli altri ragazzi della squadra. Più tardi arrivò Alberto, a raccogliere il testimone".

Italiani, sempre e comunque.

"Esatto. Vede, io vivo ancora qui a Trafoi, ho il mio albergo, siamo chiusi da settembre, per via della pandemia orribile. Ma gli impianti sono chiusi anche in Austria. Non è che un confine faccia la differenza, ecco".

È un momento tremendo, anche per il turismo invernale.

"Sicuramente, ma non hanno senso le polemiche. Io sinceramente dubito che se potessi aprire albergo e piste, in questa situazione, poi la gente si precipiterebbe qui. Bisogna essere realisti".

Lei farà il vaccino?

"Appena mi chiamano, subito. Anche se quassù non c’è proprio nessuno, dubito di potermi beccare il contagio. Cosa vuole, ho settant’anni, sono un vecchietto! Festeggio il compleanno con la famiglia, mia moglie, tre figlie, undici nipoti. Praticamente una squadra di calcio!".

Almeno gli eredi sciano bene?

"Alcuni sono ancora troppo piccoli, non so cosa decideranno di fare. Ma moglie, figlie, generi e nipoti sono le mie medaglie più belle".

Invece tra le imprese agonistiche cosa scegliamo?

"Uhm, il parallelo contro Stenmark del 1975, in Val Gardena, è un ricordo indelebile. C’era una atmosfera magica, qualcosa di irripetibile. Tenga anche conto che Stenmark, lo svedese, è stato lo sciatore più grande di tutti i tempi".

Ma lei lo ha battuto.

"Lui era molto giovane, quel giorno. È stato un onore duellare con Ingemar. Però se devo scegliere l’emozione più grande dico l’oro olimpico di Sapporo, in gigante, nel 1972. L’Olimpiade non ha eguali".

Gustavo e l’inno di Mameli, sempre lì torniamo.

"Io ho vinto da italiano per l’Italia. Come atleta prima, come allenatore di Tomba poi. E ne vado fiero".