Tettamanzi, addio al cardinale degli ultimi

Francesco ha voluto celebrarlo come "uno dei pastori più amabili e amati della Chiesa". Bersaglio della Lega, la sua spinta sociale lo espose a una ridda di attacchi intraecclesiali che lo ferirono profondamente

Dionigi Tettamanzi (Newpress)

Dionigi Tettamanzi (Newpress)

Milano, 5 agosto 2017 - Dionigi Tettamanzi, un campione della Chiesa sociale, il bersaglio ‘catto-comunista’ preferito dalla Lega che, stanca dei suoi appelli al dialogo, sulle pagine de 'La Padania' nel 2009 domandava: “Ma è un cardinale o un imam?”. Più che per i suoi modi umili e gentili, era per la sostanza del suo magistero che l’arcivescovo emerito di Milano, in carica dal 2002 al 2011, spentosi oggi in Brianza a 83 anni, non lasciava indifferenti. Incassava applausi, per lo più a sinistra, e bordate di fischi, a destra, ogni volta che rimproverava la politica di essere “troppo attenta ai muri e poco alle persone” o quando ricordava che “i diritti dei deboli non sono diritti deboli”.

Educato alla scuola del pragmatismo lombardo, il cardinale, nato a Renate, una quarantina di chilometri dalla Madunina, l’amore per il Vangelo lo incarnava nei fatti, nel suo caso paradigmatici di un’attenzione sincera verso gli ultimi. Siano questi i rom, che nel Natale 2010 incontrò nel campo in via Triboniano; i carcerati ai quali stringeva la mano uno a uno in occasione delle visite a San Vittore; i disoccupati, per i quali nel 2008, ai primi sentori della crisi, aprì un Fondo famiglia lavoro, donando, di tasca propria, un milione di euro; da ultimo, i profughi ospitati da lui in una ventina nella villa in cui è morto dopo tre giorni di agonia.

Ai sacerdoti chiedeva di uscire dalle sacrestie, di far visita anche alle famiglie degli islamici,. Sette anni fa fece scalpore una sua proposta: “Dare ai poveri le case dei preti, ai quali i beni materiali, a volte anche quelli superflui, non mancano, mentre la gente troppo spesso difetta del necessario. Molte volte gli immobili del clero sono troppo grandi, possono essere usati per chi ha più bisogno”. Questa sua spinta sociale, oltre le sicurezze del cristianesimo identitario, in ciò pienamente nel solco del predecessore, il più ieratico cardinale Carlo Maria Martini, lo espose a una ridda di attacchi intraecclesiali che lo ferirono profondamente. Il momento più alto di questa controffensiva ai suoi danni si toccò nel 2012, una volta resa pubblica la lettera a papa Benedetto XVI di don Juliàn Carron.

Il leader di Cl lamentava nella diocesi di Milano “un malinteso senso del dialogo che spesso si risolve in un’autoriduzione della originalità del cristianesimo” prima di affondare il colpo bollando Martini e Tettamanzi come gli autori di una "rottura della tradizione ambrosiana". Tanto tuonò che diluviò. In più di 550, fra preti, religiosi e laici, risposero all'erede del Gius con un'altra missiva al Pontefice, stavolta in difesa dell'arcivescovo. Era il segnale di un affetto popolare cresciuto negli anni per un presule che, se durante il ministero episcopale ad Ancona e Genova aveva esibito un profilo più prudente - sarà per questo che nel 2006 la Cei in una consultazione carbonara e ininfluente lo indicò come sua guida? -, una volta 'tornato a casa', cambiò passo. Aperto al confronto con i cattolici più riformisti, pochi sanno che Tettamanzi ormai in pensione non ebbe timori di sorta nel ricevere in udienza il portavoce del movimento Noi Siamo Chiesa.

Di recente il cardinale aveva salutato con favore la svolta di papa Francesco sulla Comunione ai divorziati risposati. Un tema quello delle famiglie ferite che Tettamanzi affrontò, con tono colloquiale e spiccata delicatezza, nella lettera ‘Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito’ (2008), fra primi contributi della Chiesa in Italia su un argomento così urgente e delicato per la pastorale ecclesiale. Informato del decesso dell'arcivescovo, Bergoglio ha voluto celebrarlo come "uno dei pastori più amabili e amati della Chiesa". Senz'altro, aggiungiamo noi, fra quelli meno scontati del nostro episcopato e non solo.