
di Filippo Donati
TREDOZIO
(Forlì-Cesena)
È una notte gravata dall’incubo che la terra torni a tremare quella che viviamo con gli abitanti di Tredozio, sfollati nel palazzetto dello sport. Il comune – 1.100 residenti, sulle montagne in provincia di Forlì-Cesena – è il più danneggiato dal terremoto di lunedì mattina, nonostante disti dieci chilometri dall’epicentro del sisma, localizzato a Marradi, in Toscana. Dei quattrocento che non sono rientrati a casa (quasi la metà dei residenti in paese) una settantina ha scelto di passare la notte al palasport. Gli altri? Auto o ospiti di amici.
Il via vai verso le cucine è intenso, ma sulle brandine si contano appena una trentina di persone: all’esterno, nel parcheggio colmo di auto, si notano oltre i finestrini facce assonnate, schermi di telefonini, sedili trasformati in letti. "Molti hanno preferito dormire nella loro vettura", confida Sergio Turchi, volontario della Protezione civile e lui stesso evacuato. "La paura di avere un tetto che scuote sopra la testa è ancora troppo forte". La conferma poco prima di mezzanotte, quando il chiudersi di un portone provoca una forte vibrazione, quanto basta perché i più impressionabili fuggano in mezzo al prato. "Era solo una porta", si ripetono a vicenda Rachele e Silvia, giovanissime ma alla loro seconda esperienza da sfollate, dopo quella causata dalle frane. All’interno della struttura c’è chi rimane vigile, come Edoardo Poggiolini, 95 anni, che seduto sulla brandina guarda dormire la moglie Elena Ferrini, 83enne. Durante la notte la figlia Silvia, insieme alla nipote, arriva per portargli le sue stampelle, che nella concitazione della fuga dall’abitazione erano rimaste all’interno. "Grazie", risponde lui. "Non ho bisogno di nient’altro, andate a dormire".
Non è il più anziano ad avere trovato ospitalità: Giuseppe ‘Pinuccio’ Bonaccorsi, 98 anni, geologo in pensione, è sempre stato abituato a vivere da solo, in autonomia, e anche qui rifiuta cortesemente le troppe attenzioni. "Me ne intendo, ho capito subito che dovevo andarmene".
Poco lontano Cinzia, una giovane mamma, racconta di essere riuscita a portare qui quello che è l’unico arredo davvero irrinunciabile per lei e per la sua bambina Diletta, di circa un anno d’età: "Il suo box – spiega –. Per lei è quasi come essere nella sua cameretta". All’esterno, fra i Vigili del fuoco e i volontari della Protezione civile – a loro volta terremotati – si passa la notte in piedi, fra un caffè e l’altro, aiutando i compaesani. Matteo Bendoni e Cristina Tamas raccontano di essere in servizio pressoché ininterrottamente da maggio: le loro divise gialloblù sono quasi una seconda pelle. "La vallata è costellata di frane: alla minima pioggia dobbiamo essere pronti per entrare in azione. Il terremoto ha cambiato la prospettiva, ma noi siamo ancora qua". Tredozio è un paese fantasma: nella notte appena poche figure si aggirano per le strade deserte. Don Massimo Monti dal sagrato della sua chiesa fissa lo sguardo sul plesso scolastico. "Abbiamo lottato contro le frane senza lasciarci sopraffare, ma – ammette la sindaca Simona Vietina – perdere la scuola sarebbe davvero un colpo troppo duro". In piazza si nota un’ombra in lontananza: una donna, residente proprio sotto la Torre civica a rischio crollo, nel cuore della zona rossa, ammette di sfuggita di non essere riuscita a voltare le spalle alla casa di famiglia. "E poi ho paura degli sciacalli". Solo don Massimo si avventura a pochi passi dalla zona rossa, per osservare di nuovo le profonde crepe che circondano come un’aureola la volta della facciata della chiesa. Lo scricchiolio delle scarpe sui calcinacci è l’unico rumore udibile in un paese dove tutti vivono col fiato sospeso.