Terapie intensive a un passo da quota 100: "Schema noto, le pandemie finiscono così"

Giorgio Cosmacini, storico della medicina: "La Spagnola sparì dopo 18 mesi, senza vaccini o antivirali. Sta accadendo la stessa cosa"

Una terapia intensiva

Una terapia intensiva

"Il virus in Italia non è mutato, ma ormai ha una ridotta capacità infettiva: le terapie intensive sono svuotate". "Gli asintomatici non trasmettono l’infezione? Allora i nuovi contagi cadono dal cielo". Due fazioni: negazionisti contro prudentisti e un coro di accuse reciproche. Dieci da una parte e dieci dall’altra, gli schieramenti trasversali si fronteggiano. Sono tutti grossi calibri della medicina: clinici, virologi, infettivologi, epidemiologi, microbiologi, farmacologi, anestesisti e rianimatori. A centrocampo i capitani delle squadre: per i negazionisti Alberto Zangrillo, primario di anestesia e rianimazione al San Raffaele di Milano, e Donato Greco, epidemiologo super consulente Oms; per i prudentisti Andrea Crisanti, direttore della virologia all’università di Padova, e Massimo Galli, primario infettivologo all’ospedale Sacco a Milano. Sugli spalti un’opinione pubblica assiste sconcertata alla partitissima. Le regole del gioco vanno ancora osservate scrupolosamente oppure si può allentare la morsa delle restrizioni?

Se c’è un arbitro in questo match, si chiama Giorgio Cosmacini. Che cosa dice lo storico numero uno della medicina e della sanità?

"La storia ci racconta che non molti anni fa sono accaduti eventi paragonabili a quelli attuali. Dunque con ragionevole margine di certezza possiamo pensare che il paradigma sia lo stesso".

Non molti anni fa: quanti?

"Un secolo fa, quando Il mondo fu travolto dall’epidemia della Spagnola. I medici si trovarono smarriti in un mare incognito. Malattia-sfinge, la definirono, perché non sapevano come prenderla: ci fu una teoria per ogni testa. Le fa pensare a qualcosa?".

Come se ne uscì, dal punto di vista delle misure di contenimento?

"I modelli furono: isolamento domiciliare, distanziamento, mascherine. E poi quartieri o sestieri in lockdown, zone rosse e rossissime".

Tutto uguale a oggi?

"Il Covid-19 è una malattia sociale. Abbiamo alzato uno scudo che replica quelli delle passate epidemie: certo, ora le precauzioni sono più sofisticate dal punto di vista tecnico. Ma la sostanza è quella".

Siamo a un bivio. I pazienti nelle terapie intensive sono a un centimetro da quota 100. Solo una soglia psicologica?

"No, una realtà che secondo scienza e coscienza non possiamo ignorare".

Parla da cittadino o da storico?

"Io, Cosmacini Giorgio, uomo di 89 anni vecchio e attempato, davanti alle cifre quotidiane mi sento di dire: forza e coraggio, me la caverò anche stavolta".

E lo storico?

"Studio i fatti della medicina da settant’anni, sta uscendo un mio libro intitolato Concetti di salute e malattia fino al tempo del Coronavirus. Posso garantire che ogni epidemia ha una sua evoluzione naturale: la Spagnola, malattia che ha accoppato mezzo mondo, se n’è andata spontaneamente dopo 18 mesi. Senza vaccini o antivirali. Perché? Non c’è risposta, possiamo solo fare ipotesi. Io le lascio a epidemiologi e virologi. A ciascuno il suo mestiere: una lezione per l’oggi".

Trova più differenze o analogie con il Coronavirus?

"La Spagnola ha colpito soprattutto i giovani, tanto che la vox populi era: quelli che non sono morti in guerra se li prende la malattia. Gli anziani furono relativamente risparmiati. Oggi il quadro è opposto".

Molti scienziati sono convinti che il virus si attenui dopo aver colpito in un determinato territorio. È così?

"Tesi verosimile. Anche la Spagnola si diffuse per aree disomogenee, sebbene il mondo fosse tutt’altra cosa rispetto a oggi. Con la globalizzazione un virus si trasmette in 24 ore, se trova un buon vettore che viaggia in aereo. Il turista è un ottimo vettore e può scendere in un territorio già colpito".

In quel caso c’è un’ondata di ritorno nel contagio?

"Un immunologo serio risponderebbe che nel frattempo abbiamo attrezzato il corredo immunitario a nostro vantaggio".

Come si risolve la rissa fra i due partiti scientifici?

"La medicina non è una scienza esatta. Deve rendersi conto che non è nella sua potestà tirare le somme, ma deve passare per un’alleanza politica che colleghi competenze comunali, regionali e nazionali. Sperando che in ultima istanza i politici siano illuminati. Ma oggi manca proprio questa prospettiva critica".