
Ernesto Caffo, 75 anni, fondatore del Telefono Azzurro
Dalla prima telefonata arrivata la mattina dell’8 giugno 1987, da Palermo, sono trascorsi 38 anni durante i quali Telefono Azzurro ha preso in carico oltre 130mila richieste d’aiuto. Anni durante i quali il servizio è cambiato in rapporto ai bisogni dei ragazzi e all’evoluzione della tecnologia. "La nostra storia – spiega Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro – è associata alle storie di bambini adolescenti. Storie che raccontano la sofferenza, la violenza che spesso nel passato esplodeva principalmente in modo interfamiliare. Nel tempo, queste storie hanno raccontato anche altro. E, per raccogliere le richieste d’aiuto dei ragazzi di oggi, il Telefono Azzurro da linea telefonica sta diventando sempre di più una piattaforma digitale".
Quali sono, oggi, le problematiche maggiormente segnalate?
"L’elemento che resta primario è la percezione da parte dei ragazzi della violenza, sia familiare sia in forma di bullismo a opera dei coetanei. Violenza che determina discriminazione, genera disturbi d’ansia e disturbi mentali. A ciò si aggiungono forme di forte inquinamento della vita personale attraverso il mondo digitale: cyberbullismo, sextortion, grooming. L’elemento comune è una richiesta d’aiuto per affrontare una situazione percepita come come fortemente distruttiva dell’identità e della dignità di questi ragazzi che non hanno trovato ascolto altrove. I bambini che ci chiamano sono sempre più più piccoli, a partire dai 6-7 anni".
Un tempo i bambini avevano un facile accesso al telefono fisso in casa. Oggi che sempre più famiglie usano solo il cellulare avete riscontrato un calo delle chiamate da parte dei più piccoli?
"La telefonia è calata drasticamente. Resta per noi un accesso nelle emergenze ma oggi l’accesso privilegiato è quello digitale, attraverso WhatsApp, chat, social network e gli altri canali che abbiamo a disposizione. Le modalità di accesso al servizio da parte dei bambini piccoli rappresentano un grande tema al quale stiamo cercando di rispondere".
In che modo?
"Abbiamo fatto accordi in base ai quali se un bambino prende un cellulare e dice all’assistente virtuale, come ad esempio Siri, che è in difficoltà viene connesso direttamente con noi. Parallelamente stiamo lavorando anche per sensibilizzare i ragazzi più grandi, ‘i fratelli’, in modo che siano in grado di aiutare i più piccoli a chiedere aiuto. Per noi il tema dell’accesso è centrale. In questo senso abbiamo fatto un grande sforzo per i bambini stranieri garantendo un servizio in circa 25 lingue e stiamo sperimentando soluzioni per i bambini disabili".
Ricevete richieste d’aiuto rispetto a problematiche che avrebbero dovuto essere intercettate prima?
"Emerge la presenza di adulti non in grado di poter cogliere il disagio dei ragazzi ed essere loro vicini in situazioni di difficoltà. Ci sono segnali che i genitori e la scuola dovrebbero riuscire a intercettare molto prima".
Per i bambini e ragazzi il mondo oggi è più rischioso?
"C’è un divario sempre maggiore tra ambiti sociali diversi e su questo dobbiamo lavorare. I ragazzi che appartengono alle fasce più fragili, a famiglie che presentano una carenza culturale e non solo economica, sono a maggiore rischio: i bambini iniziano più precocemente a usare strumenti digitali, sono più spesso da soli, spesso acquisiscono comportamenti impropri".
L’utilizzo dell’Ai come può supportare l’attività di Telefono Azzurro?
"Abbiamo attivato un voicebot Ai e una chatbot Ai, servizi supervisionati dal controllo umano che permettono di dare risposte immediate e facilitare i percorsi di aiuto".