
Russia e Cina sono gli unici alleati rimasti agli Ayatollah. Oggi il ministro degli Esteri a Mosca. Araghchi minaccia gli americani: attacchi criminali, ci difenderemo con tutte le nostre forze.
di Marta Ottaviani
ROMA
Minacce, insulti e la promessa che non è finita. Ma, in concreto, cosa voglia fare l’Iran dopo l’attacco americano dell’altra notte non è ancora chiaro. E l’Ayatollah Khamenei è scomparso dalla circolazione. Il ministero degli Esteri di Teheran ha richiesto l’intervento del consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, perché "adotti misure urgenti e decisive in risposta a questa spaventosa violazione del diritto internazionale". Peccato che a quel tavolo ristretto che regola gli equilibri internazionali seggano anche gli Stati Uniti.
IRA CONTRO WASHINGTON
Se i toni verso Israele erano tutto fuorché concilianti, quelli contro Washington sono perfino più accesi. Il presidente Trump è stato bollato come "un bullo fuorilegge". Secondo la diplomazia iraniana, gli Stati Uniti "detengono la piena responsabilità per le conseguenze delle loro azioni". In particolare, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha sottolineato come la Casa Bianca abbia autorizzato un raid "nel bel pezzo di un processo volto a raggiungere un esito diplomatico". Il capo della diplomazia di Teheran, che ieri si trovava a Istanbul, dove il presidente turco Recep Tayyip Erdogan fino all’ultimo ha cercato di portare avanti un tavolo negoziale, oggi sarà a Mosca. La Russia è l’unico alleato di peso rimasto a Teheran insieme con la Cina, ma, aldilà delle dichiarazioni ufficiali, il Cremlino sembra molto più impegnato a intensificare le azioni contro Kiev, proprio ora che gli Usa sono distratti su altri fronti che, evidentemente, gli interessano di più.
LE IPOTESI IN CAMPO
L’incertezza è la grande protagonista di queste ore. Da due giorni, l’Iran ha detto di avere diverse ipotesi sul campo. Ma alcune sembrano meno percorribili di altre, anche per gli effetti che potrebbero avere sull’equilibrio della regione. Una prima ipotesi è quella di colpire gli Stati Uniti, nello specifico le numerose basi che possiede nella regione del Golfo o le sedi diplomatiche in località più sensibili. Questo, però, potrebbe provocare la reazione delle monarchie della penisola arabica, in testa l’Arabia Saudita, che vede nell’Iran un antagonista e al quale probabilmente l’indebolimento della Repubblica Islamica non dispiace affatto. La seconda opzione è quella di chiudere temporaneamente lo stretto di Hormuz, dove transita il gas iraniano. Ma questo potrebbe avere serie ripercussioni sulle casse di Teheran, già non particolarmente floride. E soprattutto non farebbe piacere alla Cina, che ha bisogno delle fonti energetiche per l’industria nazionale. L’ipotesi più probabile è che continui a bombardare Israele, cercando di arrecare allo Stato ebraico il maggior numero di danni possibili.
MESSAGGIO AGLI USA
È interessante notare che la dirigenza di Teheran abbia voluto sottolineare come, con la decisione di attaccare, il presidente Trump abbia tradito il suo elettorato, a cui aveva promesso di riportare la pace nel mondo. Quasi un tentativo di far montare un fronte antiguerra oltre oceano che faccia pressione su Washington perché fermi Netanyahu. Le prossime ore saranno decisive sia per vedere cosa farà l’Ayatollah Khamenei, o chi potrebbe prendere il suo posto, sia per capire quali danni siano stati effettivamente inflitti ai siti nucleari. Da Teheran, infatti, hanno detto chiaramente che l’industria nucleare non si fermerà.