Mercoledì 24 Aprile 2024

Caos Tav, gelo tra Appendino e le signore del Sì

Tensione dopo la marcia dei 30mila a Torino. Le promotrici del Comitato Sì vogliono vedere Mattarella. I paletti di Parigi: preservare i soldi Ue, l'opera va fatta

I partecipanti alla manifestazione Sì Tav in Piazza Castello a Torino (Ansa)

I partecipanti alla manifestazione Sì Tav in Piazza Castello a Torino (Ansa)

Roma, 13 ottobre 2018 - Di Maio non si smuove. Per la Tav non ci può essere semaforo verde. Almeno per ora la linea resta questa. Non che manchino segnali in senso opposto ma non sono tali da scalfire la determinazione del vicepremier grillino. Sì, perchè il sindaco di Torino, Chiara Appendino, apre le porte al dialogo con chi è sceso in strada sabato per chiedere che la tratta Torino-Lione si faccia. "Difficile governare avendo contro i concittadini – sottolinea Napoli (FI) –. La folla di piazza Castello è stato un colpo al cuore di M5s". Tutto vero: ma di quei voti al movimento non arriverebbe niente. Lo dimostra il rifiuto delle 7 promotrici del Comitato sì all’invito della prima cittadina torinese di incontrarsi venerdì 16. "Prima vogliamo vedere Mattarella", replicano. Con il Quirinale che mostra una certa prudenza: non è arrivata nessuna richiesta formale – fanno sapere al Colle.

In questo quadro, ha gioco facile il leader politico pentastellato a fare la faccia feroce: non si arretra di un millimetro, dice all’Appendino volata ieri a Roma per chiedergli il da farsi. "Ascolterò assieme al premier Conte le ragioni dei manifestanti ma per noi è un punto identitario – insiste Di Maio – non possiamo girar pagina. Salvini ha esagerato a cavalcare la piazza". Sul collo ha il fiato dei duri e puri come il presidente della Camera Fico: "La Tav resta un’opera obsoleta, non va fatta". E quello del ‘padre’ Beppe Grillo che ironizza sulla marcia dei 40mila: "Bentornata borghesia, manca solo Gaber". Ciò non significa che al M5s piaccia avere il mondo imprenditoriale contro: nella stanza da guerra grillina non solo si prende in considerazione la richiesta del sindaco torinese di inserire la città tra le aree industriali in crisi, ma si avvia la procedura per cercare di sanare la ferita: "Non siamo il governo del no", sottolinea Conte. Sulla Tav la Lega la pensa in modo diverso. Ma Salvini non può aggiungere benzina sul fuoco ora. I rapporti sono già al minimo storico, i due quasi non si parlano e in più il decreto sicurezza inizia l’iter alla Camera: tira un’ariaccia e il leader leghista teme scherzi. "Ho fatto il possibile. Mi sono schierato a favore, ho mandato i miei in piazza, che altro devo fare? Poi è chiaro: su Mose, Pedemontana e Terzo valico non transigo".

Il vero problema non è neppure il Carroccio: sono i soldi. Non sono pochi a scommettere che le cose finiranno come con il Tap per una questione di conto della serva. La multa, se saltasse l’alta velocità, sarebbe salata, e poi i francesi insistono: va bene darvi più tempo per verificare costi e benefici dell’opera, ma i fondi europei noi li vogliamo. In sintesi è il senso del colloquio a Bruxelles tra il ministro delle infrastrutture Toninelli e la sua omologa di Parigi, Elisabeth Borne. Su questo, oltre che sulla sponda leghista, puntano i paladini della Tav, convinti che tutto si risolverà come per il gasdotto. Forse andrà così, ma sarà più difficile: prima di tutto perché c’è di mezzo l’identità M5s, il rischio di pagare in voti è alto. Secondo, perché tra poche ore si riaprirà un braccio di ferro con la Ue e niente esclude che quella sfida ricompatti i duellanti, rendendoli di nuovo amici, Tav o non Tav.