Tassa Covid sullo scontrino fiscale, ira dei clienti

I consumatori preannunciano denunce. Ma gli esercenti: "Polverone ingiustificato". Le associazioni: l’obiettivo non è ritoccare i prezzi

Tassa Covid sullo scontrino

Tassa Covid sullo scontrino

Roma, 26 maggio 2020 - A pochi giorni dalla partenza della fase 2, tra consumatori ed esercenti già volano gli stracci. E fortuna che tutti vivono mascherati, sennò servirebbe un’altra task force a protezione di clienti e contendenti. L’apparizione sugli scontrini di alcuni esercizi commerciali di una creativa tassa Covid – da due a quattro euro a seconda dei casi – scatena la rabbia dei consumatori. E le piccate denunce su scala nazionale subito attivano l’incattivita reazione delle categorie a tutela dei furiosi associati.

Esercizi di ristorazione, parrucchieri e centri estetici non ci stanno a passare per sanguisughe dopo esser stati vampirizzati dal Covid in 69 giorni di lockdown. "In questo momento i pubblici esercizi hanno un’unica priorità: riportare le persone nei locali garantendo loro il massimo della sicurezza e della convenienza. Attaccare in modo indiscriminato l’intero comparto, alzando un polverone ingiustificato sull’aumento dei prezzi, non è soltanto discutibile sul piano della responsabilità ma anche in termini legali: ecco perché metteremo in campo ogni iniziativa per tutelare l’immagine della categoria", ripete Aldo Cursano, vicepresidente Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi.

Un film già visto: "Ogni volta che ci troviamo ad affrontare una situazione difficile in cui sono in gioco imprese e posti di lavoro – ragiona Cursano – parte un’azione preordinata che vuole trasformare in speculazione pochi casi sparsi qua e là per la penisola. È successo con il passaggio dalla Lira all’Euro e si ripete oggi in una situazione ancora più difficile di allora". Poi l’ultima stoccata a difesa di chi ogni giorno rischia in proprio: "La nostra economia è ancora in ginocchio. Siamo ancora al 15% degli incassi. Chi oggi ha aperto l’ha fatto per dare un servizio, per dare il messaggio che ‘ci siamo’". Figurarsi se l’obiettivo "è ritoccare i prezzi".

Carlo Rienzi, presidente del Codacons, insiste: parla di "balzello", un "sovrapprezzo segnalato da numerosi consumatori" indisponibili a pagare le maggiori spese di sicurezza. Strano che al governo, dopo mesi di decreti e contorsioni, nessuno avesse immaginato la possibile rivalsa sulla clientela: sul piano formale, una trasparente richiesta di compartecipazione ai costi con tanto di scontrino parlante.

Che poi sia legale o meno è ormai disputa per tributaristi. "Io penso di no", è l’opinione della viceministra all’Economia Laura Castelli, resa nel salotto tv di Barbara D’Urso, annunciando la disponibilità a seguire "personalmente" la vicenda apparentemente incanalata per vie legali. Il Codacons ipotizza infatti "la truffa", scrive a Guardia di finanza e Antitrust, impila scontrini anomali e svela presunti ‘ricatti’ dell’ultimo secondo: clienti ‘obbligati’ "ad acquistare in loco un kit monouso costituito da kimono e ciabattine, alla modica cifra di 10 euro", a pena di mancata erogazione del servizio.

Confestetica (oltre 20mila centri associati) risponde all’accusa con un fitto lancio di forbicine, invitando il Codacons "a rendere noti all’istante i suoi dati statistici", nell’augurio – che in realtà è un sospetto – che non siano "4 e-mail, 2 telefonate e uno scontrino". Secondo un sondaggio interno alla categoria, su 1.601 centri estetici appena riaperti, l’85,94% del campione non ha aumentato i prezzi, il 12,49% li ha lievemente ritoccati e solo l’1,56% confessa l’applicazione dell’innovativa e già odiata tassa sugli igienizzanti. Una dinamica spiacevole ma non esclusiva. Anche i meccanici di questi tempi presentano fatture maggiorate per sanificazione. Insomma, il timore dei consumatori è che dopo i rincari di generi alimentari, frutta e verdura, altri sovrapprezzi possano cristallizzarsi sulla clientela. Che ritiene di aver già pagato troppo. Con tanti saluti alla condivisione di lacrime e spese.