Afghanistan, "Talebani inaffidabili, sono amici di Al Qaeda"

Il generale Battisti, primo comandante del contingente italiano: "Il pericolo terrorismo c’è. Hanno gli elenchi dei collaboratori, li cercheranno"

Talebani a Kandahar (Ansa)

Talebani a Kandahar (Ansa)

Conosce l’Afghanistan dall’ufficialità dei rapporti diplomatici all’organizzazione militare, per vent’anni anni dislocata nelle caotiche città come Kabul fino al deserto roccioso del Gulistan, il deserto delle rose. Il generale Giorgio Battisti, che sul cappello porta orgogliosamente la penna degli alpini, è un veterano ora analista di geopolitica. Tra il 2001 e il 2002 è stato il primo comandante del contingente italiano incardinato nella missione Isaf con successivi altri incarichi di vertice fino al 2014.

I nuovi talebani: al vecchio e iconico Kalashnikov preferiscono l'M4 made in Usa

Varvelli: "Incubo attentati"

Spari sulla folla: "Niente democrazia"

C’è da fidarsi delle promesse di democrazia fatte dai Taliban in diretta tv?

"Bisogna valutare attraverso i fatti, non c’è da fidarsi delle dichiarazioni ad uso mediatico. Con le prime manifestazioni di protesta a Kost e Jalalabad ci sono stati morti fra i manifestanti. Credo che i talebani siano guidati nella strategia della presentabilità dai Paesi che li sostengono, come Pakistan, Arabia Saudita, Qatar, Turchia. I principi di base restano fanatismo e radicalismo".

"Nostro figlio ha dato la vita: a cosa è servito?"

Brutali e spietati?

"Ci sono video di questi giorni in cui si vedono esecuzioni per strada. Dicono di valorizzare le donne, ma all’interno della legge islamica della Sharia. Una palese contraddizione".

Affermano di ripudiare il terrorismo.

"Lo fecero già dopo gli accordi di Doha con gli americani, ma le dico per certo che l’intelligence Usa a tutt’oggi ha le prove che i guerriglieri hanno ancora rapporti stretti con cellule di Al Qaeda. Anas Haqqani, dell’ufficio politico dei Talebani, a Kabul in questi giorni, è il fratello di Sirajuhddin Haqqani, leader dell’omonima rete jihadista".

Il popolo afghano fugge disperato assaltando gli aerei.

"Ha motivi reali per farlo. Ho parlato con un ex ufficiale mio allievo dell’Accademia qui in Italia, evacuato col nostro ponte aereo. Mi ha detto che lui stesso è stato nascosto prima della partenza perché i Taliban hanno elenchi di chi ha collaborato con la Coalizione. Cercano le persone porta per porta".

Che differenza c’è fra i nuovi talebani e quelli sconfitti nel 2001?

"Hanno gli stessi principi. Ma quelli di oggi sono più smaliziati, più capaci di usare la tecnologia e attenti a una immagine di buon governo. Quando arrivai in Afghanistan la prima volta mi raccontarono che quelli di allora giustiziavano gli oppositori negli stadi e usavano la polizia religiosa con l’intento di reprimere il peccato".

C’è il pericolo che l’Afghanistan torni ad essere la casa del terrorismo islamico?

"È un’ ipotesi fondata. Lo dicono i rapporti dell’Intelligence Usa e dell’Onu. Oggi sono censiti sul terreno almeno venti gruppi terroristici attivi sul confine col Pakistan. In queste formazioni sono presenti militanti stranieri fra cui pakistani e altri provenienti da Bangladesh, Myanmar, Indonesia".

L’Occidente deve temere il ruolo ambiguo del Pakistan?

"Quel Paese ha sempre lasciato operare le cellule di Al Qaeda e altri sul proprio territorio che poi agivano in Afghanistan, mentre combatte il terrorismo interno. Islamabad agisce storicamente affinché il governo di Kabul sia un vicino di casa docile e alleato".

L’Europa ora deve alzare il livello di sicurezza?

"Certo, anche se non credo alla possibilità di attentati a breve tipo Torri gemelle. Piuttosto il network del terrore può usare affiliati jihadisti già presenti in Europa teleguidandoli con Internet. Dopo il vergognoso ritiro di questi giorni il livello di guardia va alzato, il pericolo esiste".

Il presidente Usa Joe Biden ha sbagliato tutto?

"Il Pentagono lo aveva avvertito della scarsa tenuta dell’esercito afghano, ma lui ha voluto procedere ugualmente. Italia e Inghilterra hanno tentato una mediazione, ma è stato inutile. Ed è successo il disastro".

Il flop avrà conseguenze anche per l’Occidente?

"Ovvio. Agli occhi dei fondamentalisti musulmani abbiamo fornito una prova di debolezza, dimostrando di non difendere gli alleati. Brutta storia che può avere riflessi gravi".

Si poteva usare una diversa exit strategy, senza abbandonare così l’Afghanistan?

"Certo. Gli americani avrebbero potuto lasciare un presidio senza compiti di combattimento di 2500 uomini. E pure noi avremmo potuto impegnare una forza minima di supporto con altri Paesi. Una via di mezzo evitando l’abbandono totale. Sarebbe stato sufficiente probabilmente per evitare l’offensiva talebana e l’ordine del tutti a casa dato dal presidente Ashraf Ghani, poi fuggito in Uzbekistan".