"Svizzera in pista, noi sciatori beffati due volte"

Il presidente della Federazione: "Già subiamo danni incalcolabili per la chiusura impianti. Ora l’invito elvetico: rischiamo il crac"

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Gli svizzeri fanno gli svizzeri. E mentre l’Europa, Italia compresa, si interroga su come organizzare il Natale part time, dal turismo invernale, alle cene, alle feste, loro procedono in autonomia e aprono gli impianti sciistici. "Italiani benvenuti. Il Covid? Qui si scia". Una scelta controcorrente che assomiglia a quella di San Marino (poi ha fatto retromarcia) con i locali aperti mentre in Italia erano chiusi. Flavio Roda, bolognese di Vidiciatico, ex allenatore di Alberto Tomba, è il numero uno della Federazione italiana sci.

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Presidente come la mettiamo con la Svizzera?

"La Svizzera tutela i propri interessi e applica un protocollo di sicurezza sugli impianti ritenuto idoneo".

Quindi scelta giusta?

"È un Paese fuori dall’Europa e agisce con meno vincoli. L’economia del turismo invernale nei Paesi nordici è fondamentale".

In Italia, se il Governo non cambia idea, si potrà sciare solo a gennaio.

"Il problema non è tenere aperti o chiusi gli impianti. Con un protocollo di sicurezza condiviso da tutto il mondo dello sci si possono aprire le piste senza problemi. Sono convinto che anche l’Austria cambierà idea".

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Serve una norma europea?

"Se la regola deve essere tutto chiuso non serve. Aprire a gennaio non è la soluzione".

Perché?

"Le vacanze di Natale per molte stazioni turistiche valgono anche il 50% della stagione sul piano economico. Ci sono alberghi e tanti esercizi commerciali, dalle Dolomiti all’Appennino, che se rimangono fermi a dicembre non riusciranno a ripartire".

Su cosa si basa il protocollo?

"Poche cose, ma fondamentali. Gli sciatori sono ben vestiti e protetti, le file vanno diradate e controllate, le casse per gli ski pass possono lavorare on line, i rifugi devono osservare le regole imposte a bar e ristoranti con solo asporto. E ovviamente mascherine per tutti".

Ma il Governo tiene duro.

"Non comprendo questa posizione. Noto un incomprensibile accanimento verso le stazioni sciistiche".

Lo stop che danni comporta?

"Sono incalcolabili. Molti esercizi, come ho detto, non riusciranno a rialzare la serranda. Me lo ha confermato anche Andy Varallo, figlio del discesista Marcello Varallo e presidente del Dolomiti superski, uno dei più grandi comprensori d’Europa. La montagna già è già esposta all’incertezza del maltempo e questa è la mazzata finale".

Ci sono i ristori.

"Parlano di 3 miliardi, ma non sono sufficienti. Dietro alle piste ci sono negozi, noleggio attrezzature, ristoranti, baite, bar, scuole di sci. E molte famiglie in montagna campano sul lavoro stagionale. Se manca l’incasso invernale è un disastro".

C’è il rischio di qualche crac?

"E’ una possibilità fondata. Molti consorzi hanno già speso centinaia di migliaia di euro fra preparazione degli impianti, manutenzione, collaudi, innevamento artificiale, acquisto di attrezzature".

È successo anche a casa sua.

"Beh, sì. Al Corno alle Scale la nuova società di gestione ha già investito 500mila euro. Se non si apre è come averli gettati al vento".

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