Martedì 16 Aprile 2024

"Troppo lavoro e stipendi bassi". Anche le suore chiedono diritti

Busta paga più leggera rispetto ai preti, poche tutele sugli orari: nei conventi c’è chi dice basta. Sorella Maryanne: "È fondamentale che ciascuna sappia cosa può chiedere e cosa non può esserle chiesto"

Suore (foto archivio)

Suore (foto archivio)

Roma, 17 febbraio 2020 - Era inevitabile. Dopo il #Metoo delle suore, le denunce dei troppi casi di sfruttamento accompagnati da umiliazioni e mortificazioni, l’ammissione che molte consorelle vivono drammatiche sindromi da burnout , non si poteva non arrivare alle rivendicazioni per un orario lavorativo più equo. Il mondo delle suore sta ribollendo. E dev’essere un segno dei tempi se nelle stesse settimane in cui la premier finlandese Sanna Marin avanza la proposta di lavorare quattro giorni a settimana con una giornata di sei ore, persino le stesse suore e ancora dall’organo ufficiale Donne Chiesa Mondo, inserto femminile dell’Osservatore romano, mettono sul tavolo per la prima volta il tema della settimana lavorativa. Assieme a quello del gender pay gap.

L'INTERVISTA "Io e le altre sorelle: sedici ore senza pause"

Mai si era discusso finora nella Chiesa su come deve essere quantificato l’impiego delle suore nelle strutture degli ordini e la remunerazione delle sorelle è fatto passato sempre in secondo piano, principalmente per il motivo che le religiose fanno voto di povertà: ricevono sì uno stipendio, tra gli 800 e i 900 euro al mese, per le loro mansioni, ma devono restituire subito tutto all’ordine di cui fanno parte.

Sulla questione dell’orario, risalta la proposta di Maryanne Lounghry, australiana, suora della Misericordia, psicologa, membro del Consiglio della Commissione internazionale cattolica sulle migrazioni e consulente per il suo governo, ricercatrice al Boston College e all’Università di Oxford. Suor Maryanne ha lavorato in contesti difficilissimi in tutto il globo. "La disparità di genere – ha sentenziato parlando fuori dai denti – è uno dei nodi, dobbiamo chiederci cosa succede nella nostra Chiesa e nel Paese in cui operiamo". Suor Lounghry propone di scrivere "un codice di comportamento, così come esistono le Linee guida per la tutela dei minori. Prassi e regolamenti servono per negoziare necessità, obblighi, diritti; c’è sempre stato qualcuno che l’ha fatto al nostro posto, ma ora nelle congregazioni sono arrivate sorelle più preparate". Insomma, una cornice per contenere qualcosa di simile ai contratti di lavoro, anche perché di fatto è una giungla.

In Italia ci sono suore che con i loro servizi infermieristici o di cura arrivano anche a duemila euro al mese. Un altro problema riguarda le novizie. Come si deciderà se la nuova sorella potrà studiare e che cosa? E per quale avvenire? In genere alla fine tutto avviene a discrezione della madre badessa o del superiore dell’ordine maschile cui sono collegate. "È fondamentale – dice suor Maryanne – che una suora sappia cosa può chiedere e cosa non può esserle chiesto. Ciascuna dovrebbe avere un codice di condotta, una lettera di accordo con il vescovo o con il parroco; dovrebbe poter dire al padre o alla sorella: ’Sai, ho lavorato 38 ore questa settimana, non posso lavorare domenica e tornare di nuovo lunedì, ho bisogno di un giorno di riposo’".

Un contratto negoziato rende più forti. "Il voto di povertà – dice ad esempio suor Naike che ha un incarico da quasi 2mila euro al mese come responsabile comunicazione di una diocesi – non implica una vita di miseria. Senza sussidi garantiti si impara a rispettare il denaro. Quello che noi facciamo è mettere in comune tutte le risorse". Tuttavia, finora si è sempre ritenuto che la suora lavorasse senza limiti e senza pretese. Poi magari qualche gratificazione arrivava da un superiore illuminato.