Mercoledì 24 Aprile 2024

Sulle sanzioni si avverte l’eco delle urne

Gabriele

Canè

Il problema è che ancora una volta siamo andati in guerra con le scarpe di cartone. È una (brutta) abitudine che abbiamo quando il nemico è la Russia. Lo facemmo con Mussolini nell’estate del ‘41, con le calzature dei nostri soldati effettivamente di cartone. Lo abbiamo fatto ora prendendo il nemico Putin a cannonate economico-finanziarie, senza pensare che lui avrebbe reagito. O senza valutare l’entità delle contromosse. Comunque senza fornirci di un paracadute, di un recovery per le inevitabili, prevedibili ricadute sull’economia europea. Il tema che Salvini propone in chiave strumentale, pre elettorale, sanzioni sì, sanzioni no, è reale. Concreto. Un fertilizzante dall’odore acre che nutre un terreno già arato dalle bollette monstre, dalla chiusura definitiva del gasdotto, dalla paura (infondata) di un inverno al freddo per le famiglie, e soprattutto di un’era glaciale (probabile) per le aziende, grandi e piccole. Non è un caso che i sondaggi diano circa un 50% di connazionali pronti a dire: stringiamo la mano a Putin, e non se ne parli più. Un partito trasversale che non nasce dai pensatoi politici, ma dai contatori.

Intendiamoci: la frenata sarebbe un errore macroscopico, un suicidio nazionale. Siamo in guerra, una guerra giusta, e dobbiamo andare fino in fondo. Sacrifici compresi. Del resto, neppure Salvini vuole, o può azzerare tutto, e nel centro destra dato per vincente il 25 settembre, la sua posizione è sicuramente minoritaria. Bene. Il che non esclude, Lega a parte, che sia utile un bilancio costi-benefici delle sanzioni, e che si debbano tamponare le falle. Per farla breve. È chiaro che indietro non si torna. Ma è altrettanto certo che i contraccolpi da sanzioni ci sono e vanno ristorati. Da chi? Anche Mattarella ha parlato chiaro: dall’Europa. Subito. Da chi ha dichiarato guerra e deve tutelare il suo popolo. Consentendo ai "soldati" di continuare a camminare. Con le scarpe buone.