Martedì 16 Aprile 2024

Sull’aereo che salva bimbi e malati "Grazie Italia, è l’ora della speranza"

Dalla Polonia alla Toscana: 115 profughi evacuati tra la neve sul volo organizzato dalle Misericordie. L’ansia di Irina: "Sono sola, mio marito combatte e non sa che sono qui, mio figlio ha la leucemia"

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dall’inviato

Alessandro Farruggia

LUBLINO (Polonia)

La neve copre tutto, ma non il dolore. Per 115 ucraini – donne e minori – ieri è stata una buona giornata. Sono volati verso l’Italia, per la maggior parte con destinazione Toscana. Un volo organizzato dalle Misericordie che ha portato 9 tonnellate di aiuti in Polonia e 115 profughi ucraini al ritorno, tra i quali 20 gravemente malati. Il deus ex machina è un banchiere internazionale fiorentino doc che ha un debole per la solidarietà: dopo la Siria si è messo in gioco per l’Ucraina. "L’idea – racconta Andrea Longinotti Buitoni – mi è venuta il 25 febbraio al confine di Kracovec, dove ho visto la tragedia umana causata da questa guerra. Dovevamo fare qualcosa. Al ritorno ne ho parlato con il sindaco Nardella e il 5 febbraio abbiamo fatto una riunione con enti locali e associazioni: la Misericordia ha risposto in maniera entusiasta, mentre ITA ha messo a disposizione un aereo. E in tanti hanno deciso di aiutarci. Il grande cuore dell’Italia non tradisce mai".

Che così sia è indubbio, ma certo dentro l’A320 ITA, anche dopo il decollo salutato con un applauso, il dolore resta. Son solo per i morti e le distruzioni, ma anche perché quel che si lascia dietro – mariti, figli, fratelli che combattono, anziani genitori che non han voluto partire – è una parte di se. "Mio marito – racconta Irina, nome di fantasia, ci ha chiesto – è nella Guardia Nazionale. Sono qui con mia figlia di 7 mesi, con la mia anziana mamma e con il mio bambino di 7 anni. E ieri, proprio ieri, ho saputo che il problema per il quale lo avevamo portato in ospedale, appena arrivati qui in Polonia, è una leucemia. Mi dicono che si può curare ma io sono disperata. Sono sola con i miei figli, mia marito non sa nulla che stiamo partendo per l’Italia, non sa del destino del suo bambino e io non so se lo rivedrò. Ma una cosa so, che voglio tornare". Ce lo dicono in tante donne, mamme e non, vogliamo tornare. E non a caso quando alla fine del volo Kateryna Zarkova – da 15 anni a Firenze ma volontaria come traduttrice della Misericordia – laureata al conservatorio, prende la sua bandura, via di mezzo tra liuto e cetra, e intona l’inno nazionale ucraino, l’intero aereo diventa un coro. E capisci che piegare gente così, è dura. Gente tosta come Oksana, una età indefinita oltre i cinquanta, che alla frontiera polacca c’è arrivata da sola, e su una sedia a rotelle. "Io vengo da vicino alla città del presidente, Kryvy Vir – dice con orgoglio – e dopo una settimana di spari e bombardamenti non ne potevo più di stare nel rifugio sotto la scuola. Morivo di paura, il mio vecchio cuore sobbalzava. A casa non ho più nessuno, ma dovevo andarmene. E così ho preso la mia sedia a rotelle, sa, cammino male, e quando è passato un convoglio umanitario sono salita. La gente mi ha sempre dato una mano, verso Kiev e poi lviv. Chi poteva mi spingeva la sedia a rotelle, o mi aiutava a salire su un bus. E alla fine ho passato la frontiera. E adesso che sono qui voglio capire di cosa sono malata e se posso guarire. Sarebbe bello tornare nel mio villaggio con le mie gambe. Naturalmente, se ci sarà ancora un villaggio". Già. Se ci sarà ancora un villaggio.

Ma le notizie che vengono dall’Ucraina raccontano che nel nord gli ucraini han già costretto i russi alla ritirata, nel Donbass si lotta allo stremo. E se chiedi a un paio di loro se in cambio della pace potrebbero rinunciare a Donetsk e Lugansk, quelle donne ti guardano male e urlano: Slava Ucraini! Onore all’Ucraina. Come dire, mai.