di Ettore Maria Colombo "Se le cose andassero come devono andare" il Parlamento in seduta comune eleggerebbe Mario Draghi al Quirinale e le forze di maggioranza che reggono l’attuale governo sarebbero d’accordo per stabilire una “successione ordinata“. Questo l’auspicio, soprattutto, del Pd, oltre che di Draghi. Ma viviamo in Italia, e tutto è maledettamente complicato. I peones non ne vogliono sapere, di mandare Draghi al Colle, con il rischio di veder franare la legislatura (e un altro anno di stipendio), i leader dei maggiori partiti (tranne Letta e Meloni) neppure, chi per un motivo e chi per un altro. Ed ecco che l’elezione del prossimo inquilino del Colle, il tredicesimo presidente, che dovrebbe aprirsi il prossimo 24 gennaio, si fa assai complicata, a oggi un gioco a somma zero. Mattarella, nel suo discorso di fine anno, ha tracciato l’identikit del successore: preservare "l’unità istituzionale e morale del Paese", "spogliarsi di ogni precedente appartenenza", "farsi carico dell’interesse generale e del bene comune", "salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione". Il perfetto identikit di Draghi, volendo, tanto che il solo leader di partito che non dice un "ah" di plauso, alle parole del Capo dello Stato, è Silvio Berlusconi: non si riconosce nell’identikit, ma si sente in corsa. Pensa di poterla spuntare dal IV scrutinio in poi, quando il quorum si abbassa: la sua campagna di reclutamento dei peones procede senza sosta. Salvini assicura ai suoi che "questa volta faremo un presidente della Repubblica senza la tessera del Pd in tasca, ma espressione del centrodestra", ma non è detto che l’identikit porti a Berlusconi. Salvini, e Meloni, non danno troppe chanches alla candidatura di Berlusconi, ma non possono impedirgli di provarci: cercano un piano B, ma per ora non c’è. Inoltre, al centrodestra, non va bene nessuno dei suoi papabili. Pera non piace ...
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