Mercoledì 24 Aprile 2024

Sul barcone la tragedia di famiglia Neonato finisce in mare e annega

Mamma sviene e muore, il bimbo le scivola dalle braccia. Inghiottito dalle onde l’uomo che si era tuffato per salvarlo. Migranti alla deriva in acque maltesi, soccorsi dalla Guardia Costiera. Erano partiti dalla Tunisia: 8 vittime

di Viviana Ponchia

LAMPEDUSA (Agrigento)

Su un barchino di sei metri alla deriva nel Mediterraneo la storia è sempre uguale. Fame, sete, freddo, paura. Vita che resiste e morte. Poi ci sono le sfumature. E sono quelle a svelare i tanti modi in cui si può morire. A dare la misura dell’orrore. Ma chi la racconta? In quale lingua? Mali, Costa d’Avorio, Guinea, Camerun, Burkina Faso, Niger. Quelli che partono non hanno imparato l’inglese al British. Quelli che arrivano prima di spiegare hanno il diritto di affogare in una bottiglietta da mezzo litro. La tragedia dovrebbe avere almeno la dignità di essere compresa subito, nei suoi dettagli raccapriccianti o salvifici. Per dimostrare che ogni storia di migranti è in realtà sempre diversa dalle altre. E che ci sono nomi e cognomi su quei gusci alla deriva, legami di affetto, non carichi umani indistinti sui quali girare in fretta la pagina. Invece si aggiunge l’aggravante dell’incomprensione. Così accade che stavolta sia più semplice scegliere la versione disperata: madre getta in acqua il neonato assiderato prima di morire, uomo si tuffa per salvare quel bimbo di quattro mesi ma viene inghiottito dalla onde. È già abbastanza. Però non è vero. E questo dà la misura del torto che senza colpa facciamo ai vivi e ai morti sulla rotta dalle coste dell’Africa a Lampedusa.

Ci vogliono i mediatori culturali per rimettere insieme i pezzi dopo l’approdo al molo Favarolo della motovedetta di soccorso Cp 324 della Guardia costiera e l’assalto dei superstiti alle minerali. Ci vuole l’intervento della Procura di Agrigento e la competenza di chi sa comunicare. E allora la storia diventa un’altra storia, persino peggiore della prima. Quella donna non ha buttato il figlio in mare fra lacrime e preghiere. Ha perso i sensi, è morta e il piccolo che stringeva tra le braccia è scivolato in acqua ancora vivo. Quanto al migrante eroe, è svenuto sul parapetto ed è annegato. Dispersi tutti e due.

Erano in 46 quando hanno lasciato le coste di Sfax, in Tunisia. Soccorsi a 42 miglia da Lampedusa, sull’isola sono stati accolti otto cadaveri, fra cui quelli di una donna in stato di gravidanza. Odissea della notte scorsa, dove la logica umanitaria va a sbattere ancora contro la zattera rocciosa che ci ostiniamo a definire "in" Europa, mentre "è" l’Europa. I volontari di Alarm Phone, impegnati dal 2014 nel salvataggio in mare dei rifugiati, hanno calcolato che in due anni risultano morte o disperse su questa rotta quasi 600 persone, senza contare le vittime dei naufragi mai documentati.

Save the Children non vuole parlare di numeri ma di esseri umani e chiede risposte immediate ai bisogni essenziali di bambini e adolescenti e delle loro famiglie. I senza nome e senza storia. I neonati che nemmeno si capisce come siano scappati dall’abbraccio delle madri. Anche in questo giro il procuratore Salvatore Vella ipotizza a carico di ignoti il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e la morte quale conseguenza di altro reato in acque di responsabilità maltesi. L’isola ieri si è svegliata come ha imparato a fare, con le campane della parrocchia di San Gerlando che hanno suonato a morto per mezzora. Sempre lo stesso copione, con carrellata finale sui corpi accatastati nella piccola sala mortuaria senza cella frigo. È un turn over infinito. Ieri sera 12 salme di altri naufragi, fra cui quella di un bambino, hanno lasciato il cimitero di Cala Pisana. Il parroco don Carmelo Rizzo aveva chiesto pietà e dignità per le bare ammassate una sull’altra come casse di frutta.