Mercoledì 24 Aprile 2024

"Subito le riforme o mi dimetto" Draghi striglia la maggioranza

Il premier estenuato dai distinguo di Lega e Forza Italia e dalle incertezze grilline sull’Ucraina. Strategia condivisa con Mattarella, per Palazzo Chigi non si possono perdere le risorse del Pnrr

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di Raffaele Marmo

E alla fine Mario Draghi ha perso, con calcolato clamore, la pazienza. E l’Ucraina e gli estenuanti distinguo sulle armi. E la riforma della giustizia e i referendum da attendere per procedere. E il decreto "aiuti" da togliere dal pantano. Ma quando, di buon mattino ha capito (da una nota di Forza Italia e Lega sul nodo balneari) che sul pacchetto concorrenza si rischiava di arrivare a giugno, luglio o settembre "perché vanno scavallate le amministrative", ebbene, a quel punto ha rotto ogni residuo indugio. Ha messo in mora il capogruppo azzurro Barelli incrociato al volo a Montecitorio, ma, principalmente, ha chiamato, in rapida sequenza, il Colle e tutti i leader della maggioranza e, con maniere differenti come si conviene, li ha avvisati: "Così non vado più avanti. O si cambia registro o mi dimetto: non possiamo perdere le risorse del Pnrr per aspettare questo o quell’appuntamento elettorale. Con le politiche in arrivo, allora, che facciamo? Ci paralizziamo? Non va bene. O si cambia e si accelerano le riforme o lascio e si va al voto a luglio. E per cambiare serve il via libera al provvedimento al Senato entro maggio. Con o senza la fiducia".

Che il premier sia estenuato e stanco delle fibrillazioni continue dei partiti della sua maggioranza è noto da mesi. Che in più di un’occasione abbia affrontato il dossier con il presidente della Repubblica per indicare i rischi della palude, tanto più in una fase drammatica con la guerra russo-ucraina in corso, ebbene, anche questo è stato raccontato. Ma gli ultimi penultimatum di Giuseppe Conte, come i distinguo ripetuti di Matteo Salvini, lo hanno convinto a tenere alta la guardia sulla reale volontà di leghisti e grillini di osservanza contiana di mettere in crisi la maggioranza.

Il punto è che se sulla politica estera il premier sa di poter contare anche sull’appoggio diretto di Fratelli d’Italia (basti solo considerare lo scambio di riconoscimenti di ieri in aula alla Camera con Giorgia Meloni), sulle altre delicate partite di governo legate al Pnrr la situazione è ben differente. Da qui anche la reazione dell’ex presidente della Bce. A farla scattare una nota mattutina dei capigruppo di Lega e Forza Italia a Palazzo Madama sulle concessioni balneari: un segnale esplicito di stallo sul pacchetto concorrenza. Ma lo stesso stato di blocco vale per la riforma dell’ordinamento giudiziario, per la delega fiscale e per il decreto Aiuti.

Draghi si irrita e non ci sta. E, dopo aver avuto un colloquio con Sergio Mattarella, fa partire una serie di avvisi ai naviganti che più espliciti non potrebbero essere: la crisi è dietro l’angolo, le dimissioni sono pronte.

Sale la tensione nei Palazzi. Intervengono mediatori e pompieri. E alla fine il risultato dell’escalation è la convocazione di un consiglio dei ministri straordinario che renda visibili sia lo stato della situazione sia gli impegni dei partiti a disinnescare le mine. E così alle sei a Palazzo Chigi siamo alla drammatizzazione finale: all’ordine gel giorno "comunicazioni del Presidente", che evoca la crisi di governo. Il premier è netto. "Il mancato rispetto della tempistica delle riforme metterebbe a rischio, insostenibilmente, il raggiungimento di un obiettivo fondamentale del Pnrr, punto principale del programma di governo".

I ministri del Pd e anche quelli grillini danno man forte al premier sul punto balneari e concorrenza. I ministri leghisti tacciono. Quelli di Forza Italia si adeguano. Draghi si fa sottoscrivere, però, la cambiale in bianco della fiducia da poter utilizzare quando vuole.