Martedì 23 Aprile 2024

Stuprò l’amica, l’ex assessore va in terapia

Il giornalista Paolo Massari condannato a due anni e a risarcire 30mila euro. Affronterà un percorso di recupero personale

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di Anna Giorgi

Ha ammesso lo stupro, ha ammesso "di aver perso la testa, di avere frainteso e di essere andato oltre". Ha chiesto scusa alla vittima, l’ha risarcita con 30mila euro, ha patteggiato due anni, pena sospesa, e ha accettato due anni di terapia di recupero che il "Codice rosso", la legge che inasprisce le pene per la violenza di genere, riserva ai "sex offender".

Una storiaccia, quella che vede protagonista l’ex politico Paolo Massari, talmente grave che le molestie da "Mee too", in questa storia orrenda, sono appena l’antefatto. "La pena patteggiata è adeguata a questa fattispecie - ha spiegato, commentando i due anni, il procuratore aggiunto Maria Letizia Mannella, responsabile del dipartimento Fasce deboli - ed è coerente con il comportamento processuale dell’imputato che è sempre stato molto corretto".

Perché Paolo Massari, 54 anni, famiglia borghese, ottimi studi, casa in zona nobile a Milano, ha una "doppia faccia", racconterà la sua vittima. "Un approccio che inganna, così gentile, così - appunto - capace di essere corretto". Sempre in giacca e cravatta, aperitivi "nei posti giusti", giornalista di Mediaset (subito sospeso), ex assessore della giunta Moratti, quell’aura di inarrivabile. Chi lo avrebbe detto. Non certo l’amica di vecchia data, sua coetanea, che con lui ha frequentato anni fa il "Parini" e la sera del 13 giugno scorso, si è trovata a fuggire da casa sua, correndo nuda in strada, sfigurata dai lividi e dalle botte, pur di chiedere aiuto.

Quella sera è stata ricostruita dalla vittima e confermata da Massari che per ottenere il patteggiamento ha dovuto smettere di raccontare che lei era consenziente. Lui e lei si incontrano per l’aperitivo. Lei, imprenditrice, gli chiede un aiuto per pubblicizzare la sua attività un po’ in crisi per via del Covid. Accordo fatto. Si va a cena, ma prima lui le propone di accompagnarlo nel garage del suo loft per riporre lo scooter, così potranno andare al ristorante a piedi. I "complimenti" già durante l’aperitivo si erano fatti pesanti, fuori luogo, anche un po’ volgari, ma ormai lei era nel garage insieme a lui, che con un gesto sbarra la porta d’ingresso. Prigioniera. Le botte, tante, lo stupro. "Pensavo che sarei morta", dirà. Invece riesce a fuggire, nuda in strada, insanguinata, urla e chiede aiuto. Sono le 22 di una sera d’estate, Porta Venezia è zona di locali chic, in tanti la vedono e testimonieranno a suo favore. Una Volante la soccorre e un’altra va diretta a casa di Massari per arrestarlo.

Nei quattro mesi di indagine, nell’ufficio della pm Alessia Menegazzo si presentano altre sette donne che racconteranno episodi fotocopia. Lui "corretto e gentile" e poi l’altra faccia, quella malata. Dieci anni fa una funzionaria del Consolato Norvegese, a Milano per un incontro istituzionale, denunciò pubblicamente di essere stata molestata da lui. L’allora sindaco Letizia Moratti lo rimosse dal suo incarico, mentre lui in una conferenza stampa sosteneva di non essere "un molestatore sessuale", forte di una famiglia che lo appoggiava. Stavolta ha dovuto deporre la maschera. Per i periti ha una "fragilità sessuale patologica". Va curato, subito e a lungo: per due anni avrà un programma di recupero in cui impegnarsi.