Martedì 23 Aprile 2024

Studente torturato a morte in Iran Il video inviato all’amico di Bologna

Le immagini delle ferite sul corpo di Mehdi Zare Ashkzari: "Questo filmato è per l’Ambasciatore in Italia". Inviato dopo l’arresto e prima del carcere, dove è stato pestato a sangue. È rimasto in coma per venti giorni

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di Federica Orlandi

BOLOGNA

"Questo video è per l’ambasciatore d’Italia". Cerca di sdrammatizzare, Mehdi Zare Ashkzari, mostrando i segni inequivocabili delle botte ricevute. Qualcuno lo riprende, nella sua casa in Iran, per inviare una testimonianza agli amici a Bologna, città in cui aveva studiato fino a poco tempo prima. Le immagini provano le violenze subite dal trentenne. E soprattutto provano la consapevolezza del giovane rispetto ai rischi che correva, nella propria lotta contro il governo iraniano. Le manganellate non sono state l’unico prezzo, purtroppo: la sua voglia di libertà, Mehdi l’ha poi pagata con la vita. Perché poco dopo quel video e quelle botte, lui ha sfidato comunque il regime ed è tornato in strada, a Teheran, a manifestare con gli altri giovani. L’hanno arrestato, pestato a sangue e lasciato in coma: non si è mai più risvegliato, venti giorni dopo è morto.

Eppure, lui ride: ha il sorriso nonostante le botte", commenta il suo amico Roozbeh. È a lui che Mehdi aveva inviato quel video, che dura una quarantina di secondi e a parte la frase sull’ambasciatore è per il resto muto. Mehdi, filmato, mostra alla telecamera i segni rossi, gli ematomi e le ferite su entrambe le braccia, sulle gambe e sulla schiena: marchi lasciati da pugni, calci, probabilmente manganelli. "È la prima volta che vengo menato in strada" rivelerà poi all’amico, che è suo connazionale, ma da tempo vive a Bologna. Purtroppo, non sarebbe stata l’ultima. Con le tragiche conseguenze ormai note.

Sotto le Due Torri Mehdi ha vissuto sei anni, prima come studente di Farmacia all’Università e poi come aiutante in una pizzeria d’asporto del centro. Città in cui aveva lasciato il cuore, nonostante dopo la morte per Covid della madre, nel 2021, avesse deciso di rientrare in patria per stare vicino al padre e soprattutto al fratellino minorenne, cui era molto legato.

Ma dopo le botte e le violenze subite, era agli amici italiani che lui pensava, a cui voleva raccontare le ingiustizie ammesse in Iran. Ieri l’altro Mehdi è stato seppellito a Yazd, davanti alla tomba della sua mamma: il funerale è stato partecipatissimo, nonostante il rischio che i presenti correvano, dato che non è ammesso organizzare cerimonie funebri in grande stile per persone considerate "sovversive" dal governo. Ciò nonostante, parenti, amici e tanti solidali hanno sfidato il regime e hanno deciso di partecipare. Il video della folla alle esequie è girato sulle chat della comunità iraniana in città (è stato anche condiviso sui social da Patrick Zaki, lo studente Unibo egiziano a propria volta arrestato perché ritenuto sovversivo e di recente rilasciato dopo quasi due anni di detenzione), così come questo che registra le botte subite in precedenza dall’iraniano.

"Mehdi era un ragazzo dolce e profondo, ma forte e deciso quando si trattava di battersi contro un’ingiustizia – raccontavano di lui gli amici all’indomani della notizia della morte –. Nella vita e in politica. Per questo lo chiamavamo ’Canarino’. Anche se ci addolora e siamo sconvolti per quello che gli è successo, non ci meraviglia più ricevere notizie di amici picchiati o uccisi perché si sono opposti al governo. E perché si oppongono, poi? Semplicemente, si battono per la libertà. Non come un ideale astratto, ma per essere liberi nelle piccole cose quotidiane. Piccole cose che in Iran da troppi anni non sono scontate".