Giovedì 25 Aprile 2024

Strage di Firenze, i punti oscuri La caccia del pm Tescaroli: "Mandanti occulti da trovare"

Il coordinatore della Direzione distrettuale antimafia: il movente è noto, quello che c’è dietro no "Trentadue boss sono stati condannati, ma su quella stagione stragista ci sono veli da strappare".

di Erika Pontini

"Se dovessimo usare una metafora potremmo dire che il bicchiere è quasi pieno ma non ancora completamente. Ragioni giuridiche e etiche nei confronti delle vittime e dei numerosi feriti, ci impongono di continuare a indagare per verificare se ci siano state convergenze di interessi nell’ideazione, deliberazione e organizzazione delle stragi che in undici mesi hanno afflitto il Paese".

Il procuratore aggiunto Luca Tescaroli, coordinatore della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, è il magistrato che oggi indaga sui mandanti occulti delle stragi del 1993: Firenze, Roma, Milano.

A trent’anni dagli attentati mancano pezzi di verità, quindi?

"Una buona parte della verità è stata individuata, è emerso il movente e quelle stragi hanno dei nomi: 32 esponenti di Cosa Nostra sono stati condannati per strage. Un risultato straordinario. Ma ci sono interrogativi rimasti insoluti, le cui risposte potrebbero squarciare i veli che avvolgono i mandanti a volto coperto, come li chiamò Pierluigi Vigna".

Punti oscuri, come il presunto suggeritore esterno per individuare gli obiettivi storico-artistici. Mi riferisco a Paolo Bellini, l’estremista di Avanguardia Nazionale condannato per la strage di Bologna...

"È emerso, perché ne parlano i collaboratori, che la stagione stragista germoglia dagli incontri tra Antonino Gioè e Bellini mentre erano in corso i preparativi per la strage di Capaci, alla quale Gioè contribuì attivamente. Perché Bellini instillò il proposito di colpire la Torre di Pisa? Se è evidente la spinta ad agire di Cosa Nostra, più difficile da decifrare quella di Bellini. Come sono oscure le ragioni e la modalità della morte di Gioè all’indomani degli attentati".

Eppure questa stagione stragista è stata spesso sottovalutata. Perché?

"Per il ruolo sociale delle dieci vittime. Erano persone normali, non magistrati, esponenti politici ma quisque de populo che si sono trovati lì per caso, e anche perché non si è realmente compreso il pericolo che stava correndo la democrazia".

Quando l’allora presidente del Consiglio Ciampi disse di aver temuto il colpo di Stato?

"Disse non solo questo, ma anche di aver meditato le dimissioni: quegli attentati furono diretti contro il suo governo: l’esecuzione delle stragi ha dimostrato l’incapacità del governo ad assicurare la sicurezza collettiva dei cittadini. Non era mai accaduto".

Nella scoperta della verità un ruolo decisivo lo hanno giocato i collaboratori di giustizia. L’ultimo è stato Gaspare Spatuzza nel 2008. Stagione finita?

"È un dato di fatto che le collaborazioni qualititavamente rilevanti in seno a cosa nostra sono cessate dal 2008 e nessuno ha poi ritenuto conveniente la collaborazione preferendo morire in carcere o sperare nei benefici come lavoro esterno, semilibertà divenuti di recente possibili a seguito degli interventi della Corte costituzionale. È però fondamentale evitare che gli uomini d’onore intuiscano che la spinta investigativa non è arretrata e che lo Stato considera di primaria importanza la collaborazione con la giustizia. Noi conosciamo i responsabili degli attentati solo perché tredici uomini d’onore hanno deciso di collaborare. Sono assassini, mafiosi ma senza di loro queste verità non sarebbero esistenti".

Nel ’92 lei vola in Sicilia alla procura di Caltanissetta che indagava sugli omicidi di Falcone e Borsellino. Oggi è a capo della Dda di Firenze, al lavoro sui mandanti. Cosa significa vivere una vita accanto alla mafia?

"Quell’epoca ha inciso profondamente sulla mia formazione professionale e sulla mia vita privata. Oggi so che devo convivere con il rischio che si può perdere la vita. Ho subito un attentato insieme alla mia fidanzata dell’epoca, poi divenuta mia moglie. Fa parte della vita di un magistrato".