
Strage di famiglia . Uccide moglie e figlio in casa, sgozza la suocera nella Rsa. Poi l’ingegnere si toglie la vita
"Papà, ma cosa fai?". "Martino, no, ti prego". Lo stupore del suo ragazzo adorato, del quale conservava ancora i dentini caduti. La sorpresa della moglie, che aveva temuto di perdere per una grave malattia. Non capiscono, non lo riconoscono. Non sanno che stanno per essere ammazzati da chi li ama. Lei davanti al tavolo della colazione, lui ancora a letto. Dalla sua casa in via Lombroso alla casa di riposo Michel, in piazza Divina Provvidenza, ci sono tre chilometri. Tremila metri di disperazione che Martino Benzi, ingegnere di 66 anni, percorre con quelle voci in testa stringendo un coltello sporco di sangue, prima di mescolare il suo. Alle nove del mattino le due persone che sono il perno della sua vita non ci sono già più. In tasca infila un biglietto: "Andate a casa e troverete il cadavere di mia moglie e di mio figlio". Ma questo dopo, perché la tragedia va presa in contromano.
Con quella lama casalinga il professionista che leggeva Propp e voleva scrivere romanzi per bambini ha ammazzato il figlio Matteo di 17 anni, la moglie Monica Berta di 55. Poi si è diretto all’istituto di cura e riabilitazione dove viveva la madre di sua moglie, nel quartiere Orti a nord della città, creato nei primi anni del Novecento. Si è fatto riconoscere al cancello della struttura gestita dalle suore: "Vado a trovare la mia signora". Li hanno visti parlare in giardino. Lì dove le persone anziane imparano di nuovo a vivere ha sgozzato la suocera Carla Schiffo di 78 e si è tagliato la gola. Bisogna partire da qui. La sequenza agghiacciante, ferma in un primo tempo all’ipotesi dell’omicidio-suicidio nel giardino dell’ospizio, è stata ricostruita per forza al contrario. Ci sono due cadaveri tra le ortensie tardive e i vialetti tenuti bene dell’istituto di cura e riabilitazione. Solo quelli. E la costernazione delle sorelle della Beata Madre Teresa Michel. Poi salta fuori il biglietto con l’annuncio della strage ma non il movente, si fanno ipotesi: disagio personale deragliato verso pensieri autolesionistici. Avrebbe potuto farlo da solo. Ma forse temeva di lasciare la famiglia in condizioni di difficoltà. E allora che non resti nessuno.
È una mattina quasi estiva ad Alessandria e le suore si disperano mentre i colleghi e i compagni di scuola cominciano ad agitarsi: Monica è in malattia, ma da Valenza la cercano e non la trovano e Matteo non è a scuola all’Itis Alessandro Volta. Mai usciti dal palazzo di via Lombroso. I carabinieri provano a rintracciarli, sfondano la porta, li trovano in casa senza vita. Due scene del crimine, quattro morti, una sola arma. L’ennesima strage familiare in cui un uomo annienta tutto il proprio mondo e si uccide. E ancora una volta siamo qui a parlare di una brava persona, un insospettabile con l’inferno dentro.
Martino Benzi si era laureato in ingegneria al Politecnico di Torino nel 1982, era titolare di uno studio di consulenza informatica e di progettazione e realizzazione di siti web. Era diventato papà quando i coetanei si preparano a viziare i nipoti, però, Matteo era il suo orgoglio e la sua gioia: "A maggio 2006 mi è nato un bel bambino, all’età in cui qualche mio compagno di scuola diventava nonno – scriveva sul suo blog –. Non credo di aver bisogno di dire che una cosa del genere contribuisce – mi costringe – a mantenermi giovane e al passo coi tempi". La moglie, impiegata al gruppo Damiani, storica azienda di gioielleria, sorride nelle foto con l’entusiasmo di chi ha promesso a se stesso di non sprecare un solo istante di vita: negli anni scorsi si era ammalata di leucemia, era guarita grazie al trapianto di midollo osseo. Forte, sensibile. Così dicono di lei i colleghi. Nessuno avrebbe potuto immaginare.