Mercoledì 24 Aprile 2024

Strage di Bologna, l’ultima sentenza Ergastolo per il quinto neofascista

Condannato Bellini, c’era anche lui nel commando che fece esplodere la bomba alla stazione. E lui: "Ingiustizia è fatta"

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di Nicola Bianchi

Il "quinto uomo" della "strage di Stato" alla stazione di Bologna dalle 13.35 di ieri ha il volto di Paolo Bellini. Dopo oltre 800 giorni, nell’aula 11 del vecchio tribunale felsineo ecco pronunciare ancora quella parola: ergastolo. Davanti c’è una nuova Corte Assise e un nuovo imputato, ma l’orrore è sempre lo stesso: gli 85 morti innocenti e gli oltre 200 feriti del 2 agosto 1980 quando nella sala d’aspetto della stazione scoppiò quella maledetta bomba. Così dopo l’ex Nar Gilberto Cavallini – era il 9 gennaio 2020 –, ecco la condanna per il "quinto uomo" della carneficina: Paolo Bellini, classe 1953, sangue reggiano, ex Primula nera con alle spalle 11 omicidi confessati per i quali il conto con la giustizia terminerà nel 2032. Ma in carcere, fino a quando (e soprattutto se) il ’fine pena’ per la strage non diverrà definitivo, l’ex terrorista di Avanguardia Nazionale non ci finirà. Lui, alla lettura della sentenza, dopo tre ore di camera di consiglio, in aula intanto non c’è già più. Resta fuori, in disparte, per poi andarsene a prendere il treno per Roma e comunicare che "ingiustizia è stata fatta". Perché "sono stato incastrato" e "per condannare qualcuno servono prove, non le chiacchiere della mia ex moglie".

Ergastolo con un anno di isolamento diurno, oltre a centinaia di migliaia di euro di risarcimenti alle vittime: questo hanno detto le 76 durissime udienze. Con Bellini sono stati condannati anche l’ex ufficiale dell’Arma, Piergiorgio Segatel: sei anni per depistaggio. Quattro gli anni invece a Domenico Catracchia, l’amministratore di condominio di via Gradoli a Roma dove dimorarono prima le Br e poi i Nar, per aver detto il falso ai pm. Ma il tredicesimo processo sul 2 agosto, passerà alla storia come quello sui mandanti, perché oltre alle tre condanne ha messo per la prima volta nel mirino anche i finanziatori. Per la Procura generale, che avocando l’inchiesta nel 2017 è andata oltre alla richiesta di archiviazione della Procura ordinaria, l’orrore fu finanziato dai vertici della P2: con Licio Gelli e Umberto Ortolani, considerati i mandanti, così come Federico Umberto D’Amato, il potente capo dell’Ufficio Affari riservati del Viminale che grazie ai suoi contatti con i Servizi deviati e la destra eversiva contribuì ad organizzare l’attentato e a mettere in piedi i depistaggi, aiutato nella gestione mediatica da Mario Tedeschi, direttore del Borghese. Tutti deceduti e non più imputabili.

"Chiediamo di seguire la storia – dissero i magistrati Alberto Candi, Umberto Palma e Nicola Proto all’apertura dei lavori il 16 aprile di un anno fa – per capire come si è arrivati alla stazione". E la storia parte dal crack Ambrosiano, dai soldi distratti, dal ’documento Bologna’, "per anni nascosto", e porta a P2 e ai "capi dell’intelligence vicini a Gelli". Alla strategia della tensione, a Terza Posizione, a Stefano delle Chiaie e alla ’sua’ Avanguardia Nazionale. Con "legami" con le stragi di piazza della Loggia, di piazza Fontana, fino all’omicidio Amato. "Ci sono collegamenti con Bologna – aggiunsero i pg –, ci sono personaggi di questi stragi che entrano a piedi pari con quella alla stazione". Ed ecco Bellini, uomo dai mille volti, ladro, truffatore, "assassino" come si definì, pur dichiarandosi sempre innocente per Bologna, killer di ‘ndrangheta, collaboratore di giustizia capace di paragonarsi a "Sacco e Vanzetti", gli anarchici condannati a morte in America per un omicidio mai commesso e riabilitati 50 anni dopo.

Un processo "solo indiziario" per i suoi avvocati, i quali hanno già annunciato l’appello. Il cui principale elemento contro l’ex killer è il video amatoriale girato in stazione quella mattina da un turista, in cui appare un uomo con i baffi che per la Procura generale è "sicuramente Bellini". Così per la ex moglie, Maurizia Bonini, che riconoscendolo ha fatto cadere, 40 anni dopo, il vecchio alibi che alle 10.25, l’ora dello scoppio, lo collocava altrove. "Questo è un giorno importante – la soddisfazione di Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione dei parenti delle vittime – perché si conclude un lavoro di 40 anni, ma mancano ancora le responsabilità politiche. Non finisce qui".