Martedì 23 Aprile 2024

Covid: "Stop alla compressione delle libertà". Cassese: passiamo a misure ordinarie

Il giurista chiede un cambio di passo: "La fine delle scorciatoie? Possibile solo disboscando il labirinto normativo"

Sabino Cassese

Sabino Cassese

Professor Sabino Cassese, quanto ci si è allontanati, sia pure per necessità, dalla Costituzione con le regole emergenziali di questi anni?

"Ci si è allontanati molto dalla Costituzione con il primo decreto del Presidente del Consiglio, ma poi l’errore è stato corretto – avvisa il principe dei giuristi italiani –. Ora ci troviamo in una situazione difficile, perché il codice della protezione civile prevede che l’emergenza possa durare un massimo di due anni. Li abbiamo superati soltanto grazie al fatto che la penultima dichiarazione di emergenza è stata fatta con un decreto legge invece che con una deliberazione del Consiglio dei ministri, e quindi il decreto legge ha modificato, sia pure per questa sola emergenza, il codice della protezione civile. Insomma, un intrico normativo che si potrebbe evitare se a Palazzo Chigi ci vi fossero più lettori di Cartesio".

Eppure, non riusciamo a venirne fuori con efficacia e velocità. Perché?

"Vi sono due motivi, ma prima di considerarli debbo fare una premessa. “Uscire dall’emergenza” può essere inteso in un duplice significato. Uno è quello di finire di fare ricorso alla dichiarazione di emergenza prevista dal codice della protezione civile. L’altro è quello, più generale, di terminare di usare strumenti straordinari per una situazione che ormai ha acquisito le caratteristiche della ordinarietà. Detto questo, il primo motivo per il quale si fa ricorso all’emergenza è il seguente: in Italia siamo maestri nel costruire procedure complicate e intrecci inestricabili, per superare i quali bisogna ricorrere a strumenti straordinari (di qui la mia proposta di tagliare a monte i nodi che impediscono una spedita azione amministrativa, per evitare poi di dover ricorrere alle scorciatoie). Il secondo motivo è costituito dal fatto che il codice della protezione civile consente azioni straordinarie e decisioni rapide non permesse dalla legislazione ordinaria".

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Si ha l’impressione, infatti, di trovarci di fronte a una super-burocrazia che fa di tutto per tenerci dentro certe gabbie.

"Il quadro è ancora più complicato perché a monte c’è il labirinto legislativo che nessuno ha il coraggio di disboscare e nel quale l’amministrazione stessa finisce per adagiarsi, salvo aver bisogno poi di scorciatoie".

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In Europa, però, stanno uscendo dall’emergenza molto più rapidamente di noi.

"Si può ipotizzare che gli altri ordinamenti abbiano regole che consentono di affrontare con strumenti più “morbidi” la diffusione di epidemie. Da noi si sono approvate tante leggi e non quella di cui ci sarebbe stato bisogno, per regolare emergenze sanitarie senza ricorrere agli strumenti straordinari".

Quanto è cambiata la percezione diffusa della democrazia? Quanto si è ristretta l’area dei diritti e delle libertà civili?

"Sono due domande diverse, anche se tra di loro collegate. La prima riguarda lo spostamento sull’esecutivo di gran parte della funzione normativa, con la trasformazione del governo in legislatore principale. La punta estrema è stata raggiunta quando sono state disposte limitazioni ai diritti con decreti del presidente del Consiglio dei ministri. L’errore è stato subito colto e infatti il primo atto fu quasi interamente abrogato da quelli successivi. L’altro aspetto è quello relativo ai diritti e alle libertà civili: per questi vi è stata una notevole cooperazione della società civile con i criteri di precauzione dettati dalle autorità, anche quando queste ultime erano poco chiare e spesso contraddittorie. I governi che si sono succeduti hanno adottato norme spesso incomprensibili, troppo numerose, senza rendersi conto che erano dirette a tutti i cittadini, che non sono tutti esperti giuristi".

Ritiene che si riuscirà a tornare indietro o ci abitueremo a una nuova normalità dai diritti più facilmente comprimibili?

"Non ci siamo abituati e non dobbiamo abituarci. La Costituzione, in materia di limitazione dei diritti, è molto chiara e molto chiara ne é l’interpretazione della Corte costituzionale, che è basata principalmente sul criterio della proporzionalità. Quando le compressioni delle libertà sono sproporzionate sono illegittime".