Mercoledì 24 Aprile 2024

"Stop ai gelati nei territori occupati". Quella sfida (indigesta) a Israele

Ben & Jerry’s, storico marchio Usa, fermerà la produzione in Cisgiordania. Lo stato ebraico: così ci boicottate

Stabilimento di gelati Ben & Jerry's in Israele (Ansa)

Stabilimento di gelati Ben & Jerry's in Israele (Ansa)

Come da un nuovo vaso di Pandora, dal variopinto vasetto dei gelati Ben&Jerry’s sono inaspettatamente sbucati questo mese umori conflittuali di sapori assortiti, che presto sono usciti di controllo, per la decisione "per principio" di non vendere più i propri prodotti nei territori occupati. Qualcuno ha parlato allora di una ‘Guerra fredda’ intrapresa contro lo stato ebraico da due idealisti del Vermont, Ben Cohen e Jerry Greenfield. Ancora oggi appaiono come reduci del festival di Woostock, che restano comunque vicini alla causa ambientalista e ai movimenti di protesta di questi tempi.

In realtà le reazioni in Israele sono state non gelide, ma incandescenti. In un crescendo di toni, il premier Naftali Bennett ha affermato di essere di fronte ad una "faccenda seria". Il ministro degli esteri Yair Lapid si è lanciato contro quella che ha definito "una resa vergognosa all’antisemitismo". Il presidente Isaac Herzog ha denunciato "questa nuova forma di terrorismo economico". E ieri 90 deputati dei 120 della Knesset hanno sottoscritto un appello comune alla Unilever, la società britannico-olandese che ha acquistato B&J’s, affinché annulli la sua decisione "immorale" di "boicottare città in Israele".

La filosofia della compagnia statunitense è sinteticamente enunciata nel suo sito: ‘Pace, amore e gelati’. Con una piattaforma del genere, difficile crearsi nemici. Ma alla metà del mese – su pressione di un movimento filo-palestinese Bds che si batte per il disinvestimento in aziende con ramificazioni in Cisgiordania – B&J’s ha annunciato che dalla fine del 2022, quando giungerà a termine il contratto con la sussidiaria ‘B&J’s Israel’, i suoi prodotti non potranno più essere venduti "nei territori palestinesi occupati". Resteranno comunque a disposizione della clientela che risiede in Israele, sia pure entro le linee armistiziali in vigore fino al 1967.

Di fatto, centinaia di migliaia di israeliani che vivono negli insediamenti della Cisgiordania resterebbero allora privi del dessert. Con Israele B&J’s ha un rapporto dal 1988 quando aprì il suo primo negozio nella centrale via Dizengoff di Tel Aviv, attraendo masse di entusiasti che volevano non solo assaporare il gelato ma anche "sentirsi un po’ come negli Usa". La breccia presto si sarebbe allargata: il primo stabilimento israeliano fu aperto l’anno dopo. Quello attuale, nel sud di Israele, ha oggi 160 dipendenti, ebrei ed arabi. Da qui anche l’irruenza della reazione israeliana. Ma gli Stati Uniti di Biden non sono quelli di Trump. Sono finiti i tempi in cui il segretario di Stato Mike Pompeo visitava a Ramallah una industria vinicola israeliana, ricevendo in omaggio una bottiglia con un’etichetta che ostentava il suo nome. Assecondata da Unilever, la decisione di B&J’s rappresenta un ‘disinvestimento’ nelle colonie ebraiche, ma non boicotta Israele.

In una accelerazione di reazioni si sono avuti anche momenti paradossali. Nelle prime ore dopo l’annuncio, un’ondata di patriottismo ha travolto Israele e non pochi hanno gettato all’immondizia le confezioni che avevano in frigo, rilanciando le immagini sul web. Subito è insorta ‘B&J’s-Israel’ che ha spiegato di aver strenuamente lottato per mesi contro il progetto di boicottaggio dei suoi partner di oltre-oceano. Ha anche avvertito che quei gelati sono prodotti in Israele: distruggendoli si distrugge il lavoro dei suoi dipendenti. È così seguita un’ondata patriottica di riflusso, espressasi ieri con la mobilitazione di 90 deputati della Knesset in sostegno di ‘B&J’s-Israel’ e diretta invece contro la sua direzione internazionale e contro Unilever. Anche nel fronte filo-palestinese non sono mancate le sorprese. Mentre nei supermercati di Ramallah quelle confezioni vanno adesso ruba, c’è anche chi si chiede che vantaggio pratico possa mai trarre dalla vicenda il palestinese della strada. Anni fa, in seguito a pressioni per il disinvestimento, la società israeliana SodaStream fu costretta a chiudere il proprio stabilimento in Cisgiordania. A farne le spese per primi furono i suoi dipendenti palestinesi. Ieri, dopo aver sottoscritto la lettera di sdegno a B&J’s, un deputato di sinistra ha depennato la propria firma essendosi purtroppo ‘confuso’ – ha spiegato – fra le città in Israele e gli insediamenti in Cisgiordania. Svista almeno bizzarra, dato che si tratta di un generale della riserva ed ex vicecapo di Stato Maggiore.