"Stipendi bassi e molte grane". Nardella: vanno cambiate le leggi

Il primo cittadino di Firenze: "Ci incolpano di tutto, il nostro mestiere ormai non lo vuole fare più nessuno"

Dario Nardella, 45 anni, primo cittadino di Firenze

Dario Nardella, 45 anni, primo cittadino di Firenze

"Ora avete capito perché in Italia nessuno se la sente più di fare il sindaco?". È il commento a caldo di Dario Nardella, primo cittadino di Firenze, dopo l’avviso di garanzia alla collega di Crema per la porta di un asilo. E lo dice mentre incastra nella già fitta agenda quotidiana anche il ruolo di guida turistica vip in Palazzo Vecchio. Perché i sindaci non si tirano mai indietro. E siccome di questi tempi le città d’arte soffrono, anche avere per guida il primo cittadino può fare la differenza. Il problema è che, mai come ora, fare il sindaco è una specie di mission impossible, roba da superuomini. Non solo per l’impegno h24, soprattutto per il pesante carico di responsabilità penali.

Nardella, prima la sindaca di Torino, Chiara Appendino, condannata, ora l’avviso di garanzia a Stefania Bonaldi a Crema, ma è giusto?

"Siamo arrivati davvero al limite. Di questo passo i sindaci saranno accusati della fame nel mondo. Ormai, qualunque cosa avvenga in una città, dai disastri climatici alle manifestazioni pubbliche, ai più piccoli incidenti viene direttamente imputata ai sindaci. Come se non esistesse una struttura amministrativa e politica con precise gerarchie, responsabilità e competenze. Tutto questo è diventato ormai assurdo e inaccettabile".

Lei quindi rivedrebbe le norme sull’azione dei sindaci?

"Sì. Va rivista la legge Severino, le leggi che regolano i reati commessi all’interno della pubblica amministrazione, ma anche il Tuel, il Testo unico per gli enti locali, senza dimenticare le norme che regolano il rapporto fra pubblica amministrazione e politica".

Ma i sindaci stanno soffrendo anche il vento forte dell’antipolitica?

"Non più di tanto. La verità è molto semplice: i sindaci hanno un grande consenso fra i loro concittadini. Le comunità locali si fidano dei loro amministratori. Il problema semmai è per la classe politica nazionale. Governo e Parlamento sono sordi di fronte alle nostre ormai quotidiane sventure. I sindaci si ritrovano a essere indagati, spesso anche per reati gravi, e poi assolti dopo aver subito gogne mediatiche insopportabili, magari dopo aver rinunciato ai loro stessi incarichi".

È per questo che sono sempre meno i politici che decidono di mettersi in gioco per guidare una città?

"Certo. E non chiamo in causa la questione economica. Il sindaco di una grande città italiana guadagna la metà di un parlamentare assenteista. Non parlo per me visto che sono al secondo mandato e non potrò ricandidarmi. Ma è necessario un riallineamento fra incarichi parlamentari, regionali e amministratori di piccole e grandi città. C’è una sproporzione eccessiva in rapporto a responsabilità e competenze. Ho fatto il parlamentare e conosco la differenza. Un sindaco rischia ogni giorno. E questa sovraesposizione alle responsabilità penali, civili, amministrative basta a scoraggiare chiunque abbia qualcosa da perdere nella vita. Vuol dire lasciare la professione per un incarico amministrativo pagato poco, con pochi poteri e molte responsabilità. E si badi bene: i sindaci sono abituati a stare in prima linea e a prendersi le responsabilità. Ma siamo arrivati a un punto che ci sono solo responsabilità, poche gratificazioni e nessun potere concreto per realizzare ciò che si vorrebbe".

Deve cambiare anche il ruolo dei dirigenti nella pubblica amministrazione? Hanno meno responsabilità dei politici, ma alte retribuzioni.

"C’è un problema di paura della firma. Molti funzionari temono per le proprie responsabilità e questo aggrava il quadro di una burocrazia che è già molto pesante e complessa. Così i sindaci che hanno l’ansia si rispondere ai cittadini spesso si espongono oltre le proprie competenze con spirito di servizio sobbarcandosi responsabilità che superano il bilanciamento dei pesi tra politica e amministrazione tecnica".