Stato d’emergenza, governo diviso. Salvini all’attacco: no alla proroga

Draghi valuta l’allungamento fino al 31 dicembre. La Francia da oggi leva mascherine all’aperto e coprifuoco

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, 42 anni, si è vaccinato

Il ministro della Salute, Roberto Speranza, 42 anni, si è vaccinato

Come al solito, in ballo c’è molto più il simbolo che la realtà. Risolto il tormentone coprifuoco, il nuovo fronte del leader leghista e dell’alleata Giorgia è la proroga dello stato d’emergenza che scade il 31 luglio. Acuminata la Meloni, che dall’opposizione può permetterselo: "Un prolungamento al 31 dicembre è un’ipotesi folle". Più diplomatico il Capitano: "Non ne ho parlato ancora con Draghi, che vedrò presto, ma a mio avviso non ci sono i presupposti per trascinarlo. Credo sarebbe un bel messaggio, come dire il peggio è passato". Dal punto di vista della rapidità e dell’efficienza sembrerebbe assurdo farlo scadere: significherebbe infatti rinunciare agli strumenti con cui è stata gestita la pandemia. Al di là dei Dpcm, comporterebbe non solo la la fine della struttura commissariale per il Covid e del Cts, ma anche il venir meno di misure come lo smart working, le agevolazioni per le famiglie (ad esempio i congedi parentali) e la possibilità di ricorrere alla Dad nelle scuole. In ballo insomma ci sono una serie di snellimenti burocratici che agevolano il lavoro ove ci fosse una recrudescenza della pandemia.

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Ma per la politica l’efficienza non può mai essere l’unico criterio: deve tener conto anche dei fattori simbolici. È evidente che cancellare lo stato d’emergenza in vigore dal 31 gennaio 2020 sarebbe un segnale molto forte. Equivarrebbe a dire che la crisi è stata superata. E un certo impatto psicologico probabilmente ci sarebbe davvero. Avverte il professor Sabino Cassese che definisce "inspiegabile" una proroga: "Non ci sono più le condizioni. E in caso di necessità bastano poche ore per reintrodurlo, non serve tenersi pronti". Il modello francese, che per la verità non ha chiuso lo stato d’emergenza, ma allentato le restrizioni sanitarie con alcuni giorni di anticipo rispetto a quanto previsto, incalza in quella direzione: via già da domani le mascherine all’esterno coprifuoco abolito da domenica. Vero è che i due provvedimenti venivano violati quotidianamente ma dopo 8 mesi, il governo di Parigi prefigura il ritorno a una vita quasi normale.

Questi sono i piatti della bilancia che ha di fronte Mario Draghi. Fosse per lui non avrebbe dubbi: con la campagna vaccinale ancora in corso e il rischio di un riacutizzarsi della crisi dopo la pausa estiva ritiene che eliminare lo stato di emergenza sarebbe irragionevole. A fargli da sponda le Regioni, secondo il governatore pugliese Emiliano: "Ci stiamo orientando verso la proroga". Come sempre in questi casi spunta anche l’immancabile terza via. C’è chi scommette che in nome della quiete nella maggioranza alla fine il premier sceglierà proprio questa. Non impossibile ma certo è difficile: si tratta di una sorta di ’spacchettamento’. Rinunciare allo stato d’emergenza inteso come poteri straordinari del governo, creando un fondamento normativo ad hoc per tenere in piedi la macchina della logistica vaccinale messa in piedi a Figliuolo e dal capo della Protezione civile Curcio,con l’aiuto degli scienziati.

Da Speranza a Draghi, naturalmente tutti auspicano la fine dell’emergenza pandemica, ma al ministero della Salute come a Palazzo Chigi e nel Cts gli occhi restano puntati sull’Inghilterra: nonostante la vaccinazione copra quasi l’intera popolazione il numero di contagi è il più alto dalla fine di febbraio, di fatto dall’inizio dell’immunizzazione a tappeto decisa da Johnson. La variante non è un’invenzione ma un’incognita reale ed è difficile che il premier e il ministro della Salute decidano di affrontare il momento considerato più a rischio, l’inizio dell’autunno, rallentati dalla mancanza dello stato d’emergenza. Ciò non significa che questo debba essere prolungato fino al 31 dicembre. Una mediazione anzi è possibile proprio sui tempi: una scadenza più ravvicinata permetterebbe di valutare la situazione a fine estate e consentirebbe a Salvini di uscire a testa alta dallo scontro. Sia come sia, la scelta non sarà immediata: fino al 31 luglio c’è tempo, per monitorare il quadro sia nei confini nazionale ma sia negli altri Paesi europei. La scelta Draghi la farà all’ultimo minuto e in ogni caso non creerà grossi traumi. Lo stesso Salvini insiste per tornare a un quadro non emergenziale ma aggiunge: "Di fatto è finito".