Giovedì 18 Aprile 2024

Stati Uniti in recessione Diamogli Draghi

Cesare

De Carlo

Il Cristiano Ronaldo dell’economia si chiama Mario Draghi e se, come per i calciatori, ci fosse il mercato dei politici il suo prossimo trasferimento sarebbe a Washington. Non per tornare alla Banca Mondiale, ma per rimediare ai disastri di colui "che ha avvilito una congiuntura in soli 18 mesi" (così Arrigo Sadun, noto economista). In effetti mentre l’Italia di Draghi segna un Pil in crescita del 3,4% su base annua, il più alto in Europa, l’America di Biden entra in recessione. Incredibile. Diciotto mesi fa il democratico presidente aveva ereditato dal repubblicano Trump un Pil a più 5% e un’inflazione al 2. Cosa è accaduto? Due cose, anzi tre. La prima: Biden ha immesso in circolazione 4 trilioni di dollari. Aggiunti ai 5 del precedente quantitative easing della Fed hanno gonfiato la liquidità. Immediata la fiammata inflazionistica. L’aveva prevista Summer, economista di Obama. Inascoltato. La congiuntura quasi uscita dalla pandemia non aveva bisogno di stimoli supplementari. Secondariamente e conseguentemente: stretta della Fed, credito raro e caro, investimenti in calo, inflazione al 10 % destinata a salire. Biden ne dà la colpa a Putin. Ma l’Ucraina è di febbraio e in fatto di energia gli Usa sono autosufficienti. Insiste Biden: gli Usa non sarebbero in recessione perché il tasso di disoccupazione è basso e la quotazione del dollaro alta. Ma qualsiasi economista conosce la curva di Phillips: storicamente a una bassa disoccupazione corrisponde un’alta inflazione. E il dollaro quando il mondo esplode diventa la moneta rifugio. Unico vantaggio: limita le tensioni inflattive. Terzo fattore, il più importante: la fiducia, l’ossigeno del mercato. Alimenta la crescita se c’è. La deprime se non c’è. Nell’Italia di Draghi c’era. Nell’America di Biden no. Questa è la lezione del nostro Cristiano Ronaldo. [email protected]