
Ricostruzioni post-terremoto, senza fine mai. Per il sisma che nel 1980 mise in ginocchio l’Irpinia, con oltre 3mila morti, solo quest’anno lo Stato staccherà l’ultimo assegno per chiudere definitivamente un capitolo che è costato la vita ad oltre 3mila persone, ben 43 anni dopo la scossa. Ma senza andare troppo indietro, basta fare un giro in Umbria: a 26 anni dal terremoto sono ancora tantissime le case da ricostruire e i borghi da ripopolare. La verità è che in Italia siamo ormai bravini a gestire la fase dell’emergenza, grazie soprattutto alla macchina della Protezione Civile. Ma dobbiamo fare ancora molta strada per rendere efficienti e rapidi i processi della ricostruzione post sisma. Stratificazione delle norme, procedure farraginose, una governance non sempre efficace, anche a causa dei condizionamenti della politica: più volte la Corte dei Conti, nei sui periodici rapporti, ha puntato l’indice sulle inefficienze dei processi della ricostruzione. Eppure si tratta di un fiume di denaro che spesso non riusciamo ad utilizzare al meglio.
I maggiori terremoti degli ultimi 40 anni hanno fatto 135 miliardi di danni mentre per la ricostruzione ne abbiamo già spesi altri 120. Soldi che non sono stati sufficienti a completare il percorso della ricostruzione. Il caso più evidente, probabilmente, è quello dell’Aquila. A 14 anni dalla scossa, la città è ancora un grande cantiere, con centinaia di persone che vivono nelle sistemazioni provvisorie. In sostanza, è come se un’intera generazione avesse conosciuto solo la vita dell’emergenza e non quella della normalità. Allo stato attuale, secondo un rapporto della Uil, i cantieri conclusi nel centro città sono appena il 10% del patrimonio edilizio pubblico e il 75% di quello privato. Non conforta nemmeno la situazione nei comuni del cratere, dove la ricostruzione pubblica si aggira sempre intorno al 10% e quella privata raggiunge il 60%. Peraltro, gli ultimi dati sull’occupazione hanno fatto registrare, nell’intera Regione, una perdita di circa 39mila unità rispetto al 2021 e, nello specifico, nella provincia dell’Aquila, il tasso di disoccupazione è molto più elevato rispetto ad altri territori.
Stessa scena e stessi ritmi di ricostruzione anche per tutti gli altri eventi che hanno colpito il Paese: dai terremoti del 20 e 29 maggio 2012 in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto a quello del Centro-Italia del 2016. Tranne il capoluogo abruzzese, sono tutti ancora nella fase dell’emergenza, ancora lontani dal ritorno alle procedure ordinare. Tanto che il ministro della Protezione Civile, Nello Musumeci, ha ammesso che in Italia, per chiudere un terremoto, si possono impiegare anche cinquant’anni. Per il sisma Centro-Italia, ad esempio, a sette anni di distanza dalla scossa e nonostante la forte accelerazione impressa negli ultimi anni, la ricostruzione registra ancora fortissimi ritardi. Basta un dato per fotografare la situazione: a fronte di una stima di danni che si attesta sui 28 miliardi di euro, al momento sono stati erogati 3,2 miliardi, poco più del 10%.