Europei: spirito di gruppo, abbracci e lealtà. Tenera è la notte del calcio europeo

Lo scudo umano dei compagni a Eriksen dopo il malore, l’amicizia Vialli-Mancini e la lezione di stile di Luis Enrique. Immagini che danno l’idea di quanto, almeno nel pallone, sia sentita l’appartenenza al Vecchio Continente

Il capitano azzurro, Giorgio Chiellini

Il capitano azzurro, Giorgio Chiellini

Allora, quando siamo già stati qui? Ah, sì: in quella estate incredibile del 1982, l’Italia del ct Enzo Bearzot e della pipa presidenziale di Sandro Pertini, l’Italia che scappava dal terrorismo grazie ai gol di Paolo Rossi e alle parate di Dino Zoff.

Sì, siamo già stati qui. Ma con una differenza, che diventa poi un elemento di condivisione. Noi insieme al resto d’Europa, noi con la Nazionale del Mancio e con gli avversari, i rivali, i presunti nemici.

C’è, sullo sfondo di questa dolcissima estate Azzurra, una voglia di tenerezza che la gente semplice percepisce. Lasciate stare le scemenze degli intellettuali da salotto in servizio permanente effettivo, gente che si occupa di sentimenti popolari solo quando vanno in copertina. Davvero: qui ci siamo noi, fratelli d’Italia e fratelli d’Europa.

Con la sua silenziosa ferocia, la pandemia aveva messo al buio un continente intero. Credevamo di vivere in un mondo in cui Parigi era un sobborgo di Bologna, Londra un quartiere di Firenze, Berlino un angolo di Milano: e all’improvviso era vietato spostarsi dal centro alla periferia!

Ecco, qui c’è la congiunzione astrale. Il virus che arretra, il calcio che avanza. Il cuore che batte e quasi si ferma, come nel caso del l’interista di Danimarca, l’elegante Eriksen. Stava quasi per morire in campo, il centrocampista nerazzurro, e lì abbiamo compreso che forse era vero, forse la peste del Covid poteva renderci migliori: lo abbiamo capito vedendo i suoi compagni fargli scudo intorno alla barella, per evitare che una agonia si trasformasse in spettacolo multimediale.

Ecco. Abbiamo tutti un bisogno disperato di tenerezza, dopo mesi e mesi di mascherine, di tamponi, di test sierologici. Desideriamo desiderare e non si tratta di una ripetizione.

C’è questa voglia di tenerezza che tracima, fratelli d’Italia e fratelli d’Europa. Mbappé sbaglia il rigore che elimina dal torneo la favoritissima Francia e i suoi compagni accorrono a consolarlo. L’Italia vince una soffertissima sfida con l’Austria e l’abbraccio tra Vialli e Mancini, antichi sodali sampdoriani, è l’istantanea del sentimento che scavalca i tempi e le generazioni.

Poi, certo, si è parlato più di Vialli e Mancini che di Garibaldi e Vittorio Emanuele a Teano, ma qui è l’enfasi della cronaca a prevalere.

Ah, la voglia di tenerezza! Crostante che accarezza il viso di Spinazzola quando capisce che l’amico ha sacrificato un tendine sull’altare della causa. E Barella che rincuora Lukaku dopo aver contribuito ad eliminare il Belgio del partner interista.

Voglia di tenerezza, come nel film da Oscar di Jack Nickolson. Una esigenza corale.

Manifestata nelle piazze, sventolando il tricolore. Liberi liberi, come cantava Vasco Rossi. Liberi dal male della pandemia, prigionieri di un innamoramento che viene da lontano.

Non solo per noi. Abbiamo battuto la Spagna ai rigori e Luis Enrique, l’allenatore delle Furie Rosse appena sconfitte in un modo vagamente crudele, beh, lui, Luis Enrique è andato in televisione a dire che avrebbe tifato Italia, perché sa cosa abbiamo passato (e detto da uno che ha perso una figlia bambina per un tumore, fa certo un effetto).

Non so, non possiamo ipotizzare come finirà, domenica prossima a Wembley.

Siamo tutti qui, forse non è vero che siamo tutti diventati più buoni, forse presto scopriremo di essere cattivi e cinici come prima.

Intanto, però, siamo fratelli. D’Italia e d’Europa.