Voleva fare un gioco "macho" o solo usare il suo dipendente come bersaglio per i suoi capricci? Per i giudici della Corte d’Assise di Lecce non ci sono dubbi: il pastore di origini albanesi, Qamil Hyraj, freddato con due fucilate, è vittima di omicidio volontario con dolo eventuale (un reato che si configura quando il colpevole non cerca di uccidere, ma ritiene che sia seriamente probabile l’assassinio). E l’autore del delitto, Giuseppe Roi, 37enne di Porto Cesareo (Lecce), titolare di un’azienda agricola a Torre Lapillo, è condannato a trenta anni di reclusione. La tragica storia ha inizio a mezzogiorno del 6 aprile del 2014, ma ha un prologo che risale a settimane, forse mesi prima. Roi, infatti, ha la passione per le armi, carabine e pistole di ogni calibro. Non solo le detiene, ma si diverte a sparare su muri e bidoni nelle campagne tra Torre Lapillo e Torre Castiglione dove Hyrai gestisce il pascolo per le pecore del suo datore di lavoro. "Prima o poi succede che mi ammazza", si sfoga il ventitreenne albanese. E ricorda che, già in una precedente circostanza, il "padrone" gli aveva sparato "per scherzo" da distanza ravvicinata. Qamil è un giovane a modo, arrivato in Italia per lavorare, sa fare il pastore. Conduce una vita spartana, dorme su un giaciglio e con un cugino si alterna nella gestione del pascolo. Non ha nemici, né precedenti penali né legami pericolosi. Per questo motivo quando i carabinieri trovano il suo corpo trafitto da due proiettili capiscono che devono rivolgere la loro attenzione al "padrone pistolero". In breve tempo ricostruiscono cosa è avvenuto in quel lembo di terra poco distante dalla fattoria nel quale vive lo sparatore. Ecco la dinamica del delitto che ricostruiscono. Roi si sistema dietro un muro di cinta rivolto verso Hyraj tanto da ...
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