Spari al barista, la fuga e la cattura Il tassista: "Così l’ho fatto arrestare"

L’uomo che aveva aperto il fuoco in un bar voleva arrivare in Svizzera. Preso in un’area di servizio a Pesaro

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di Roberto Damiani

La fuga in taxi è finita alle 23 di domenica sera, a faccia in giù sull’asfalto dell’autogrill Metauro Est, corsia nord dell’A-14, località Marotta. Braccia e gambe divaricate, guancia sinistra aderente al terreno, e otto agenti della polstrada di Senigallia e Fano che puntavano la pistola su di lui. Anche respirare poteva essere un lusso. Per questo, non ha fatto alcuna resistenza Federico Pecorale, 29 anni, originario di Montesilvano (Pescara), residente in Svizzera con la madre, l’uomo che l’altroieri alle 14.30, stanco di aspettare gli arrosticini, ha prima preso a pugni il barman e cameriere 23enne del ristobar di piazza della Rinascita a Pescara e poi ha estratto una pistola sparandogli contro tre colpi, ferendolo gravemente alla testa e alla schiena.

Le immagini delle telecamere interne dimostrano che Pecorale non aveva altro motivo per sparare che gli arrosticini per i quali c’era troppo da aspettare. Poi la fuga ma non lontano, fino a Gissi da parenti. Il tempo di fare le valigie, per ritornare in Svizzera pensando di farcela. Ma come? Ha scartato treni e aerei, e auto a noleggio. L’avrebbero controllato e preso. Ha chiamato allora un taxi, non uno su tanti, ma Vincenzo Femminilli, 66 anni, da sette mesi tassista a Vasto "perché non so stare senza fare niente" ma per 40 anni brigadiere della Finanza. Pecorale lo conosceva da pochi giorni perché lo aveva già utilizzato per spostarsi. Così ha richiamato lui dicendogli di voler tornare in Svizzera.

Al telefono, ieri, Femminilli ha raccontato: "Ho accettato dicendogli che il viaggio sarebbe costato 1.500 euro. Lui ha risposto che non c’erano problemi: è andato al bancomat, ha fatto il prelievo e mi ha fatto vedere i soldi. Così verso le 18 siamo partiti. Non sapevo niente degli spari di Pescara avvenuti poche ore prima. Nessun sospetto sulla persona, che parlava poco ma come tanti. Aveva una borsa vicino a lui nel sedile. Ma arrivati verso Roseto, squilla il mio telefono, rispondo, ed essendo in modalità Bluetooth, sente amplificato anche lui: mi dicono che erano i carabinieri. Io tolgo immediatamente il Bluetooth e mi chiedono se sto viaggiando con un cliente verso Nord. Rispondo sì, pensando di passare a lui la comunicazione ma mi dicono di attendere istruzioni. A quel punto, il cliente mi chiede cosa volessero i carabinieri, e io gli dico di non aver capito granché, poi mi chiama due o tre volte la polizia e mi chiarisce con chi avevo a che fare, indicandomi di tenermi pronto a uscire in un autogrill. Lui non sentiva le parole ma aveva capito tutto. Respirava forte, guardava dietro, dovevo proseguire ma ero certo che da un momento all’altro mi avrebbe preso alla gola o puntato la pistola. Invece sono arrivato all’autogrill mantenendo la calma, gli ho detto che facevo benzina, e subito dopo lo hanno bloccato. Era finita. Sono tornato al lavoro. Ma ho caricato solo gente che conosco".