Sos delle ostetriche: "Siamo troppo poche, turni massacranti. Assistenza impossibile"

I sindacati: professioniste sottopagate e stress alle stelle. "Prendiamo 1.500 euro al mese con enormi responsabilità. Capita che una di noi debba seguire 10 donne per volta"

Donna in gravidanza

Donna in gravidanza

"Noi ostetriche siamo le Cenerentole della Sanità italiana: guadagniamo in media 1.500 euro al mese anche per turni h24 nei punti nascita, il governo ci ha escluso dall’ultimo fondo del contratto nazionale, siamo in pochissime nei reparti e non possiamo garantire la necessaria assistenza alle madri. Lavoriamo spesso in situazioni di emergenza, siamo trattate come operatori senza laurea nonostante abbiamo responsabilità enormi e corriamo rischi biologici elevati", è l’analisi di Nadia Rovelli, presidente dell’Ordine della professione ostetrica interprovinciale di Bergamo, Cremona, Lodi, Milano, Monza e Brianza.

In Italia il numero di ostetriche ogni 100mila abitanti è di 29, oltre quattordici in meno rispetto alla media europea (facendo una stima sul totale delle unità si calcola una carenza di 8.300 ostetriche sulle 20mila iscritte all’Ordine).

"Molto dipende dai punti nascita, ma talvolta una ostetrica può avere in carico dieci donne e dieci neonati", racconta Valeria Massaro, dirigente sindacale Fials Bologna referente per le ostetriche. In diverse realtà la commistione tra puerpere e donne in gravidanza nei momenti dei prodromi, fa sì che la madre non possa ricevere l’assistenza della quale necessita.

La carenza di personale è il problema principale che viene espresso dal settore, così come la riorganizzazione del lavoro. "Nella nostra quotidianità professionale non abbiamo il tempo necessario per fornire un supporto adeguato a tutte le donne, siamo spesso con l’acqua alla gola. Non di rado ci capita di dover dare la precedenza a chi ha il problema più grave e magari trascurare chi non sta male, ma ha comunque necessità di assistenza", prosegue Massaro, che fa parte del movimento spontaneo ’Battaglia ostetrica’ nato a seguito della discriminazione subite dal settore nel nuovo contratto nazionale di lavoro.

"Le donne nel reparto ci chiedono ogni tipo di consiglio, dubbio sanitario, informazione, aiuto: ma noi siamo sempre meno – analizza Rovelli –. La soluzione ideale è quella di una assistenza personalizzata per ogni donna, non esiste uno standard che valga per tutte: dall’allattamento a richiesta al co-sleeping, ogni persona deve poter instaurare il rapporto migliore col proprio neonato. Serve un numero di personale minimo per vigilare e monitorare il decorso del percorso-nascita, valutando il co-sleeping, la soluzione nido e altre modalità di interazione tra mamma e neonato. Oltretutto ancora adesso ci sono limitazioni dovute alla pandemia Covid che rendono il nostro lavoro ancora più complicato: il partner, i familiari e gli amici dovrebbero essere figure determinanti nell’assistenza".

Molte donne lamentano il fatto di essere state abbandonate nel delicato momento del pre e post parto in ospedale, ma guardando la realtà dell’organizzazione professionale delle ostetriche tutte le critiche assumono contorni relativi. "Bisogna ripensare alla nostra professione, introducendo l’ostetrica di famiglia e comunità – propone Massaro –. Purtroppo a seguito della dimissione dal punto nascita, non viene garantita la continuità assistenziale ostetrica, ma è c’è un unico controllo a 40 giorni (in Emilia Romagna è così, ma in molte altre regioni non c’è nemmeno questo supporto, ndr). Questa organizzazione lascia le mamme sole in un momento di fragilità fisica ed emotiva, mentre la presenza capillare delle ostetriche anche a livello territoriale è fondamentale".