Sorprende i ladri in casa: lo ammazzano

La vittima è un architetto di 49 anni. La rabbia del padre: "È morto per niente, qui intorno almeno sei furti in cinque anni"

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di Viviana Ponchia

Un fragore, l’antifurto che suona, lo spaesamento delle 4 del mattino fra il sogno e l’incubo. I ladri, forse due, se li è trovati davanti in salotto dopo essere saltato giù da letto e avere bruciato le scale che portano alle stanze al secondo piano. Nessun negoziato. Solo una finestra a due metri da terra distrutta a martellate e un colpo di pistola per coprirsi la fuga.

Roberto Mottura – architetto, padre e sportivo definito dagli amici "un grande uomo solare ispiratore di ottimismo" – avrebbe compiuto 50 anni il 16 giugno. È stato ucciso in casa sua, la villetta a schiera in via Campetto 33 a Piossasco, dove aveva traslocato otto anni fa con la famiglia per sentirsi più sicuro. È stato centrato al basso ventre da quell’unico proiettile, un’emorragia interna non gli ha lasciato scampo. Chi lo ha ammazzato è scappato senza portare via nemmeno un soprammobile. "È morto per niente – si dispera il padre Attilio –. È stata mia nuora Laura ad avvisarci all’alba. Ripeteva sconvolta che era caduto ma respirava ancora, forse aveva avuto un malore. Che c’era stato un furto. Ma per portare via che cosa? Non c’era niente da rubare in quella casa".

C’erano una mamma, un papà e un ragazzino di 13 anni, Tommaso, addormentati nei loro letti. E tutto attorno un complesso residenziale scelto apposta per garantirsi tranquillità. Piossasco non è Detroit. In quella placida propaggine torinese incuneata fra le Alpi e la pianura, i torrenti Chisola e Sangone, si può scegliere di vivere al minimo del rischio. Roberto Mottura è morto all’arrivo del 118 chiamato dalla moglie, i tentativi di rianimarlo sono stati inutili. "Non ha senso – ripete suo padre –, oggi i soldi non si tengono in casa, non riesco a capire cosa siano venuti a fare". E ricorda che in cinque anni già sei volte c’erano state ’visite’ dei ladri nella stessa zona. Enrico, l’altro figlio, ipotizza con amarezza che l’unica cosa di valore fosse un computer. "Mi ha telefonato mia madre – racconta – e mi sono fiondato qui dall’altra parte di Torino. Quando sono arrivato gli stavano facendo il massaggio cardiaco, mi interessava solo che respirasse ancora".

Roberto aveva lavorato per anni all’Azimut di Canelli prima di aprire un suo studio in proprio e avviare una collaborazione con l’azienda Marmoinox, eccellenza enomeccanica nei settori dell’imbottigliamento e del packaging. Su Facebook i colleghi dicono di non avere parole per la perdita di un collaboratore prezioso e di un compagno di pedalate: "Il nostro affetto va alla moglie Laura e al figlio Tommaso, che faranno sempre parte della famiglia Marmoinox, e a tutte le persone che hanno avuto il piacere e la fortuna di conoscere, anche per un breve istante, la sua grandezza". L’amministratore delegato Paolo Marmo è sconvolto. "Era prima di tutto un grande amico, con noi da moltissimi anni. Lo conobbi quando lavorava in un’altra azienda del settore, io giovane alle prime armi. Quando l’azienda chiuse gli chiesi di seguirmi. Competente, tostissimo. Ha anche disegnato la divisa della nostra squadra, il team bikers di Canelli".

La famiglia, il lavoro. E poi la bici: "Appena aveva un momento libero usciva con la mountain bike – ricorda il padre –. Era una passione che condivideva con suo figlio. Quei due erano in simbiosi". L’ultima pedalata mercoledì scorso, un lungo giro sulle colline sopra la valle del Belbo. Per festeggiare i cinquant’anni Roberto aveva organizzato un vecchio sogno, il percorso lungo la via del Sale.