"Sono ragazzi". Così la sinistra ha lasciato fare

Ma dietro, cosa c’è? Cosa nutre schiere di collettivi che, di sigla in sigla, di anno in anno, pensano che qui, a Bologna ma anche altrove, sia tutto permesso? Basta guardare i muri dei portici, sindone di lustri di lassismo: una stratificazione di insulti (da Salvini a Renzi alla Meloni) che dà l’idea della zona franca, non dell’invocata comunità più progressista d’Italia. Non bisogna mai dimenticare che sotto le Due Torri si muove una città nella città: 90mila iscritti all’università Alma Mater a fronte di meno di 400mila abitanti, con una biodiversità tale da dover mettere in conto, oltre a un patrimonio positivo, dissenso, teste calde, mele marce. Pensiamo all’Aula C, spazio tenuto illegalmente dagli antagonisti in un osceno tira e molla che si prolungò per oltre venticinque anni: l’errore costò un incubatore di reati e spianò la strada ad anarchici e attentati all’interno di Scienze Politiche, con legami accertati con le Nuove Brigate Rosse. Prima ancora, il ’77 con i carriarmati, le autoriduzioni e i ragazzi in strada: oltre 40 anni dopo, il Cantunzèn – il locale del più noto esproprio proletario – non c’è più e la guerriglia dalla nota piazza Verdi (dove pure la polizia fu costretta ad arretrare) s’è spostata, con il manichino biondo appeso a sfregio, sotto la torre mozzata, la Garisenda. Dalla gogna all’allora rettore Ivano Dionigi al professor Angelo Panebianco, interrotto più volte durante le lezioni: per anni i collettivi sono stati tollerati e pure coccolati. Li hanno lasciati occupare, sfogare, commettere reati. Al grido di ‘So’ ragazzi’ e di una convenienza politica, le amministrazioni di sinistra hanno generato un brodo di coltura tossico. Ora non è più così, e lo dimostrano frasi e atti del sindaco Matteo Lepore o del governatore Stefano Bonaccini, ma l’equivoco, fino ad arrivare a un clima d’odio contro chi governa a prescindere (figuriamoci se di centrodestra), si è ormai generato. A Bologna. Ma anche altrove.