Giovedì 18 Aprile 2024

Sergio Stivaletti: "Mostri e killer, la mia missione è fare paura"

Dal sodalizio horror con Dario Argento all’ultimo Diabolik, il regista e tecnico è l’erede di Rambaldi e di una tradizione tutta italiana "Da ragazzino vidi ’Odissea nello spazio’ con mio padre e rimasi folgorato. In quel momento decisi che avrei fatto questo lavoro"

Sergio Stivaletti, 64 anni, con una delle sue creazioni

Sergio Stivaletti, 64 anni, con una delle sue creazioni

È un’estate rovente per Sergio Stivaletti. Il regista e mago italiano degli effetti speciali sta passando le notti sul set dell’ultimo film di Dario Argento, Occhiali neri. In parallelo, lavora a un film di Pupi Avati e agli altri due capitoli della trilogia di Diabolik dei Manetti Bros (la prima parte, rimandata per il Covid, uscirà questo inverno). Negli ultimi vent’anni, il mestiere degli effetti speciali è stato travolto dalla rivoluzione digitale: Stivaletti e i suoi collaboratori hanno saputo restare al passo, mantenendo immutato lo spirito artigiano delle origini.

"Ne La sindrome di Stendhal (1996) di Argento sono stato il primo in Italia a utilizzare la computer grafica in un film girato in 35 millimetri. C’era Asia Argento che veniva ‘catturata’ ed entrava dentro un grande quadro con una fontana dipinta. In un’altra scena, lei nuotava nel dipinto Tempesta sul mare di Bruegel il Vecchio, incontrando un enorme pesce. Il mio obiettivo è sempre il risultato finale, non ho problemi a mescolare effetti classici e digitali, se è la soluzione migliore".

Stivaletti, come si è avvicinato a un mestiere così particolare?

"A cavallo degli anni Sessanta e Settanta, il cinema era uno dei pochi svaghi. Marinavo la scuola e vedevo sul grande schermo film di fantascienza in bianco e nero come Il risveglio del dinosauro (1953) e La Cosa da un altro mondo (1951). Mi ricordo ancora lo stupore quando, con mio padre, vidi 2001 – Odissea nello spazio (1968). Ci si chiedeva come avessero fatto a girare certe scene, c’erano effetti incredibili. Il legame con l’horror, invece, nacque coi film di Dario Argento alla Sala Umberto".

Intanto, studiava all’università...

"Mi iscrissi a Medicina. E anche questo fu decisivo, perché potevo utilizzare quello che studiavo per fare quello che mi piaceva davvero".

Quale fu il primo set che l’accolse?

"Iniziai con delle piccole collaborazioni con Avati, la miniserie Jazz Band dove realizzai una piccola Tour Eiffel di fiammiferi, e il film Le strelle nel fosso, dove serviva un paio di occhiali in stile settecentesco".

Poi, l’incontro con Dario Argento. E quel bimbo-mostro nel finale di Phenomena (1985), che turba ancora il sonno degli appassionati...

"Ero stato chiamato sul set per realizzare dei cadaveri finti, piccole cose, ma mi feci avanti e proposi questo personaggio affetto dalla sindrome di Patau, una differenza di un cromosoma che provoca deformità. A Dario piacque e mi trovai coinvolto ad alto livello, realizzando anche la sequenza degli insetti che attaccano il collegio e una lucciola in stop motion (l’animazione passo-passo, ndr), che poi non fu utilizzata. Una bella esperienza".

Da lì la collaborazione è durata fino ad oggi...

"Si è interrotta solo quando Dario ha girato alcuni film in America, ma sono stato degnamente sostituito da Tom Savini, mio amico e ispiratore".

Lei è considerato l’erede di Carlo Rambaldi, maestro degli effetti ‘analogici’ di fama mondiale nonché tre volte premio Oscar, l’ha mai conosciuto?

"Certo, Rambaldi mi aveva invitato ad andare in America, poi non se ne fece nulla. Però mi indicò per realizzare un grifone per il musical della Divina Commedia di Marco Frisina (2007). Era talmente grande che poteva entrare solo al teatro allestito a Tor Vergata, dove fu messo in scena lo spettacolo".

Ma cosa fa esattamente un esperto di effetti speciali?

"Il nostro lavoro comprende una gamma vastissima di realizzazioni, dal make up agli effetti digitali a quelli meccanici, animatroni compresi. Per esempio, adesso stiamo lavorando su dei robot che simulano animali per il film di Argento: creiamo prototipi, funzionano sul set al momento delle riprese, se dopo poco si rompono è lo stesso. Usiamo tanti materiali, a seconda delle diverse fasi e degli effetti che vogliamo creare: creta, gesso, lattice, tubi e siringhe".

Tra sangue finto, teste mozzate e mostri vari, avrà imparato il segreto della paura. Ce lo rivela?

"Tanti registi e scrittori hanno cercato di definire la paura. È il contesto che determina le emozioni trasmesse da effetto speciale: un lupo mannaro che passeggia al guinzaglio non spaventa nessuno, è solo un cane un po’ strano, così come uno zombie che arranca non è molto diverso da un malato o un ubriaco. La paura è un insieme di sensazioni".

E Stivaletti, oggi, di cosa ha paura?

"Certo non dei mostri o degli effetti che realizziamo. Semmai, temo di intraprendere viaggi sconosciuti, compreso quello finale che non nomino neanche (ride, ndr)".

Lei ha anche tre film all’attivo come regista. Quale ricorda con più affetto?

"Il primo lungometraggio è del 1997, Argento mi affidò Mdc – Maschera di cera. Fare effetti speciali è già in parte un lavoro registico, disegno sempre storyboard delle scene, ci vuole inventiva e creatività. Ma direi che sono soddisfatto dell’ultimo, Rabbia furiosa - Er Canaro (2018), ispirato alla figura di Pietro De Negri, dove mi sono concentrato sul dramma umano".

Si può fare ancora cinema di genere in Italia?

"C’è stato un periodo in cui sono stato attivo nelle piccole produzioni indipendenti, molto vivo ma con budget limitati. Il digitale ha abbassato i costi e oggi si può girare un film con un buon smartphone; il rovescio della medaglia è che il mercato ha aperto un po’ a tutti, anche a chi lo fa un po’ per hobby, e magari manca della necessaria professionalità".

Le piattaforme non hanno cambiato il mercato?

"Resto convinto che il grande schermo abbia un fascino unico, anche i mitici film di Argento, Bava e Castellari, amati e saccheggiati a piene mani da Quentin Tarantino, perdono un po’ visti a casa. Ma è certo positivo che questi colossi investano miliardi in nuove produzioni, anche se non tutti i soldi vengono spesi bene".

È vero che nel cassetto ha un film su Maciste, eroe dei peplum anni Sessanta?

"Maciste e i protagonisti dei Peplum non sono altro che i nostri supereroi. Ho una storia che reputo interessante nel cassetto, mi piacerebbe molto: gli americani fanno Godzilla vs. Kong, io credo che potrebbe funzionare".

Lei dirige una scuola di effetti speciali, Fantastic Forge. Che tipo di studenti sono, i suoi?

"Superato lo stop per Covid, ripartiamo in autunno. La maggior parte dei nostri studenti sono attratti dall’horror anche perché i risultati si vedono piuttosto in fretta. Magari crei una bella ‘ferita’, la metti su Instagram e gli amici le vedono. Ma la nostra offerta è più ampia: in Italia i politici troppo spesso dimenticano le potenzialità del settore cinematografico, che in passato è stata un’industria fiorente e ora non lo è più anche perché non adeguatamente supportata. Eppure il talento e la creatività non mancano".