Iva Zanicchi: "Sono l’Aquila (anche) delle lettere. Cantavo nel bosco per Ungaretti"

"Lui mi parlava della madre e della guerra. Ho conosciuto Buzzati e Luzi. E ora ho scritto un romanzo, una saga familiare"

Iva Zanicchi, 82 anni, ha vinto tre volte a Sanremo

Iva Zanicchi, 82 anni, ha vinto tre volte a Sanremo

Reggio Emilia, 6 giugno 22022 - Iva Zanicchi ha la voce che sorride. L’Aquila di Ligonchio, come fu ribattezzata dalla stampa ai suoi esordi, negli anni Sessanta, non ha perso un grammo della simpatia e dell’intelligenza che la contraddistinguono. È uscito da poco il suo quarto libro, Un altro giorno verrà (Rizzoli), e le radici del racconto la portano sempre lì, nel paesino natìo, Vaglie, frazione di Ligonchio, in provincia di Reggio Emilia, fra le braccia di quel nonno arguto e preveggente che aveva visto nella nipotina dalla voce eccezionale un futuro radioso. Niente di più vero. Dal record dei Sanremo vinti, a quello di prima donna italiana a cantare al Madison Square Garden e in Urss, Iva Zanicchi, classe 1940, non si è fatta mancare niente. Soprattutto la passione per la letteratura che l’ha vista incontrare i più grandi del ’900.

Iva, come è nato questo libro?

"Io lo chiamo il libro del Covid. Ero in ospedale perché avevo contratto il virus: giorni terribili, tra tubicini, ossigeno, medici perplessi. Io, che sono ottimista per natura, lì per lì mi sono spaventata. Poi ho cominciato ad ascoltare nella mia testa la musica di Bach, che adoro, e piano piano ho messo a fuoco dei personaggi, nonno Tonì (ispirato a mio nonno) e il nipotino. E poi un uccello con grandi ali e il rapporto incredibile con questa creatura. Tornata a casa, ho iniziato a scrivere. Niente scalette, solo il flusso della mia immaginazione. È una saga familiare che parte dal capostipite, Attilio. Parla di pastori, di transumanza verso la Maremma, della mia bisnonna che fu chiamata Pisana perché nacque su un carro nei pressi di Pisa".

Lei sostiene che le sue origini siano toscane.

"Sulle case del mio paese, a Vaglie, c’è scolpito il giglio fiorentino e nel 1300 il paese pagava la gabella a Modena ma voleva stare sotto Lucca. Infatti mi chiamavano la Garfagnana, si andava spesso a Lucca o Viareggio. Un mio parente, che conosceva la Divina Commedia a memoria, si chiamava Vito Raffaelli, cognome fiorentino".

Ricorda come è nata in lei quest’ansia di leggere in un posto dove i libri erano più rari di qualsiasi altra cosa?

"Sempre il nonno. Aveva una marcia in più. Ha imparato a leggere e scrivere da solo, ha fatto strade, case, pali dell’alta tensione sul Po. Mi ha ispirato. In quinta elementare ho vinto il primo premio per il tema più bello. Si intitolava Il mio banco. La sera ci radunavamo a casa di qualcuno e nonno Antonio leggeva I promessi sposi, la Gerusalemme liberata, Pinocchio che secondo lui non era una fiaba ma un vero romanzo".

E l’arrivo a Milano? Aveva 19 anni…

"Feci tutto il viaggio con la testa fuori dal finestrino per non perdermi nulla. E infatti al provino feci cilecca perché ero rimasta senza voce. Ero eccitata e impaurita. La stazione centrale mi parve una cattedrale e davanti al Duomo mi misi a piangere tanta fu l’emozione".

Come conobbe Dino Buzzati?

"Buzzati, come tanti altri intellettuali dell’epoca, lo conobbi a casa del gallerista Cortina. In quegli anni da lui passavano i personaggi più strani, da Craxi a Mario Luzi. Ma anche Carlo Bo, grande letterato, era un amico. Ricordo che non parlava quasi mai. Ogni tanto una frase a effetto e poi il silenzio per ore. Era rettore a Urbino e quando andai lì per un incontro con gli studenti me lo presentarono e lui mi disse: “Lei piacerebbe molto a mia moglie. Verrebbe a cena a casa mia?” Non aveva mai invitato nessuno. Ricordo che fu un incontro molto piacevole, la casa era interamente tappezzata di libri, una meraviglia".

E Giuseppe Ungaretti?

"Quando lo conobbi, grazie a Carlo Bo, nel 1970, era già molto anziano (morì pochi mesi dopo, ndr) e mi parve subito un poeta bambino. Aveva una purezza nello sguardo che non ho più rivisto. Mi parlava di sua madre, della guerra, era mite e dolcissimo. Eravamo a Salsomaggiore, io per un premio. Poi presi una decisione. Gli dissi: “Maestro. Mi fermo e sto qui con lei una settimana”. “Speriamo che la mia compagna non sia gelosa” rispose ridendo. Dovevo registrare una canzone nel bosco, lui venne con me. Eravamo seduti sotto un albero, io cantavo Un uomo senza tempo e lui la mimava. Fu emozionante. Ovviamente dopo lessi tutte le sue opere".

Ha conosciuto anche lo scultore Giacomo Manzù.

"Sono stata a casa sua. Era un po’ come me, di origini contadine. Condividevamo esperienze simili. “Mia moglie non mi fa mangiare la polenta” si lamentò. “Maestro, gliela cucino io” gli risposi. Ma ho conosciuto anche Fellini, Visconti, Sordi, Pisano, dei grandissimi".

Iva, lei sa quanti libri ha?

"No. Ho una piccola libreria in camera dove tengo i volumi più cari, da Via col vento a John Steinbeck, ai sudamericani. Poi ho molte biografie. Ho un’altra libreria grande e poi libri suoi tavoli, dove c’è spazio. Purtroppo soffro di maculopatia ed è un grande dolore non poter più leggere i libri di carta. Devo fare con il tablet ma non è la stessa cosa, si perde il gusto della lettura".

Chi preferisce leggere?

"Sono legata ai grandi del passato, a Camilleri preferisco Verga".

E la musica? Che ascolta?

"È un periodo strano. Ho riscoperto la musica classica, soprattutto Bach ma anche Puccini, Verdi, Chopin. Certo, sento anche la musica attuale e mi diverte ma la classica mi regala emozioni speciali".

E la scrittura? Vuole continuare?

"Mai dire mai".