Giovedì 18 Aprile 2024

Sofri e Calabresi, nel nome dei padri. "Confrontarsi arricchisce sempre"

Il figlio del leader di Lotta Continua sul palco con l’erede del commissario ucciso nel 1972. L’incontro al festival di Peccioli, nel Pisano: "È da molti anni che non ci vediamo in pubblico"

Luca Sofri e Mario Calabresi

Luca Sofri e Mario Calabresi

Peccioli (Pisa), 19 marzo 20223 - "Si chiacchiera bene sulle panchine. Le panchine sono posti bellissimi, dove conversando puoi prendere dall’altro cose che ti arricchiscono. Non hai la necessità di stare faccia a faccia. Si sta accanto, si guarda davanti. Senza giudizio".

E come su una panchina – senza giudicare o essere giudicati – Mario Calabresi, il figlio del commissario assassinato nel 1972, e Luca Sofri, figlio dell’ex leader di Lotta Continua condannato a 22 anni perché ritenuto mandante di quell’omicidio, hanno chiacchierato seduti accanto ieri pomeriggio, per uno degli appuntamenti di "Pensavo Peccioli", il festival nato per discutere in una dimensione piccola e concreta i cambiamenti in atto nella nostra società. Un incontro che – ha rivelato lo stesso Sofri, curatore della kermesse – non avveniva pubblicamente da anni, da quando Calabresi si era appena insediato alla direzione di Repubblica. "Anche se a distanza ci siamo confrontati spesso", ha aggiunto.

Arrivano insieme, si siede prima uno, poi l’altro. Il filo di quella conversazione che a Peccioli diventa il colloquio reale su una panchina ideale e si dipana partendo dall’ultimo libro, "Una volta sola", in cui Mario Calabresi racconta storie di persone che hanno fatto delle scelte, proprio nel momento in cui il mondo stava cambiando le loro carte in tavola.

Da Pietro Nava, il venditore di porte blindate, unico testimone oculare della morte del giudice Rosario Livatino, ucciso dalla mafia nel 1990, che sceglie di non tacere e per quella scelta vedrà stravolta la sua vita, fino all’uomo che – l’8 marzo 2020, in pieno lockdown – si fa ricoverare nella clinica che ospitava sua moglie malata di Alzheimer perché quel giorno gli dicono che non si può più entrare a farle visita.

Le storie degli altri, che Calabresi è bravo a raccontare, e lo sottolinea più volte Sofri, sono l’occasione per guardare davanti e avanti, e anche per compiere scelte e gesti troppo a lungo rimandati. Anche per i due protagonisti di questa storica chiacchierata. Un incontro tra due persone, due uomini, due colleghi, che conversano senza caricarsi – almeno stavolta – sulle spalle il peso e l’imbarazzo del reciproco background.

"Questo libro nasce nel tempo inatteso della pandemia – spiega Calabresi – qualcosa che credo abbia lasciato dentro di noi un segno, anche in chi oggi ne rimuove il ricordo, la sensazione che ci sono cose non programmabili. Segna il ritorno della precarietà nelle nostre vite. E la precarietà ci pone di fronte a scelte che altrimenti non avresti fatto. Ci sono persone che si sono licenziate, attività che hanno chiuso per sempre ed altre che sono nate perché qualcuno ha scelto di cambiare".

Ma ogni scelta, secondo Calabresi, non è mai istintiva. È la somma di traumi, gioie, dolori vissuti. "Non è detto che sia razionale ma è figlia di chi tu sei. Parlando con Pietro Nava, la domanda delle domande che volevo fargli e alla fine gli ho fatto è stata: ‘Ma chi te l’ha fatto fare?’. Se non si fosse bucata la gomma della sua auto non avrebbe visto al rallentatore l’esecuzione del giudice. E lui avrebbe ancora la sua vita di prima, il lavoro, la moglie, la famiglia. Mi ha risposto: ‘Non avrei potuto fare altra scelta, perché ho sempre pensato a come mi sarei vergognato ogni giorno se avessi scelto di tacere’".

Il giudizio, l’unico che conta davvero, non è quello degli altri, ma quello che ciascuno ha rispetto a se stesso. "Però senza indulgere a comode autoassoluzioni", chiosa Sofri. Poi si stringono la mano.

E scoppia l ’applauso, corale, del pubblico