Sofocle, Hugo e Dostoevskij. La colpa che non si cancella più

La strage della funivia accompagnerà i suoi responsabili per tutta la vita, come fu per Edipo. Lady Macbeth pulirà le mani sporche di sangue in eterno, Javert affogherà la sete di espiazione nella Senna

La Cattura di Cristo di Caravaggio (1602) mostra il bacio di Giuda a Gesù

La Cattura di Cristo di Caravaggio (1602) mostra il bacio di Giuda a Gesù

V’è una scena piuttosto misteriosa ne I fratelli Karamazov di Dostoevskij venutami subito in mente alla notizia delle responsabilità che gravano come macigni sulle coscienze di chi a Stresa non ha volutamente messo in modo di funzionare certi dispositivi della funivia, per non dover fermare il servizio e quindi non poter lucrare il guadagno di una ripresa del turismo. Ed è quella del santo Zosima che si prosterna davanti a Dimitri, uno dei tre fratelli Karamazov, perché ha pietà dell’immensa sofferenza che ha sentito essere destinato a patire quel giovane.

La stessa pietà mi colpisce oggi chiedendomi come potranno mai vivere i correi di una strage dovuta alla fame di denaro che non si ferma davanti a nessun valore, viola tutto, anche la sacralità della vita di ben quattordici persone, bambini compresi. Questi individui non vivranno più, anche se continueranno a respirare l’aria che hanno tolto alle loro vittime. Per quel che resta della loro povera vita saranno più che morsi divorati dal senso di un’irredimibile colpa, mentre il loro sonno sarà visitato dalle Furie, le divinità vendicatrici convertite nei fantasmi del rimorso di lady Macbeth, che ripete all’infinito il gesto di lavarsi le mani, per sempre macchiate del sangue di re Duncan.

Ma il miasma della colpa è una nebbia sottile e invasiva che tracima dalla coppa del male e vaga, vaga inquieto anche intorno alle esistenze dei colpevoli che più che mai "son lunge da trovar pace o loco". E si mangia i consanguinei, i figli, le mogli, i mariti, che anche se arrivassero a rinnegare il loro vincolo, porterebbero ovunque con sé la vergogna, vittime anche loro innocenti di quel misfatto.

Come i figli di Caino, segnati sulla fronte, recheranno nel loro cognome l’onta ereditata. In tempi più vicini a noi, i due figli maschi di Oscar Wilde, vittime di ben altro senso e del tutto ingiusto di colpa, cambiarono persino il cognome per non doverne portare il peso. Tutto questo inferno parte dall’archetipo evangelico del senso della colpa, il più nero, imperdonabile, esecrabile, quello che nel Credo o simbolo niceno da duemila anni seppellisce con poche parole Pilato con Giuda e nella potenza della maledizione ispira alla pietà di un altro genio russo e cristiano, Michail Bulgakov, un capolavoro della letteratura, Il Maestro e Margherita, il romanzo dove il rimorso di Pilato trova una possibile tregua, nella sospensione della colpa.

Ma Giuda no, non trova nemmeno in Bulgakov una possibile redenzione. Il traditore di Cristo pecca, infatti, di superbia nel suo grado più alto, la disperazione del perdono, l’altra faccia del disprezzo della misericordia divina. E sappiamo tutti in che modo paga la sua colpa.

Ma l’uovo della civiltà occidentale nasce in Grecia ed è nella sua antica letteratura, canone di quelle romanze, che il senso della colpa tocca le più drammatiche punte nelle sublimi tragedie di Eschilo, Sofocle ed Euripide. Edipo re di Sofocle inaugura quel sentimento in una delle trame più misteriose e fatali, dove un figlio uccide il padre e giace con la madre, colpendo il delicato nido degli affetti familiari, aprendo alla riflessione di Sigmund Freud, duemila e trecento anni dopo, un campo che ancora non sembra esaurito, se la psicoanalisi continua il suo cammino, nella terapia dei mali più oscuri come il senso di colpa.

Anche ne I miserabili di Victor Hugo c’è un Giuda, che non ammette un possibile perdono e paga allo stesso modo, l’implacabile ispettore Javert, che affoga nelle acque della Senna l’arsura di un’immedicabile sete di espiazione senza riscatto. Ma è nella cultura protestante americana del secolo scorso che troviamo un cantore fra i più alti della potenza delle Furie vendicatrici della colpa, Nathaniel Hawthorne. Ne La lettera scarlatta lo scrittore americano mette in scena una vittima del pregiudizio puritano nella gentile figura di Hester, la vittima additata alla pubblica ignominia con la condanna a portare ricamata sul corpetto la lettera A, l’iniziale di adultera, colpevole di non aver voluto dichiarare il nome del padre della sua creatura, per amore.

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