Mercoledì 24 Aprile 2024

"Noi soccorritori, influencer nell'emergenza"

La riflessione di un vigile del fuoco e sociologo: "Ci rappresentano come eroi ma siamo professionisti che hanno bisogno di mezzi adeguati per il proprio lavoro"

La devastazione dopo l'esplosione a Ravanusa (Vigili del fuoco)

La devastazione dopo l'esplosione a Ravanusa (Vigili del fuoco)

Roma, 10 gennaio 2022  - Ci accorgiamo di loro quando capita un disastro. Quando contano i secondi (e l'addestramento, e l'umanità). I soccorritori d'Italia sono il volto buono delle tragedie. Luigi De Luca, vigile del fuoco e sociologo, ci spiega la loro missione. 

"Se rivolgiamo lo sguardo agli inizi della costituzione delle comunità umane, ci accorgiamo come uno dei motivi ispiratori e fondanti di quelle primarie aggregazioni sociali era il principio del “mutuo-aiuto-aiuto”, resosi inizialmente necessario dal bisogno di difendersi dalle aggressioni esterne, ovvero dall’esigenza di garantire la propria incolumità a garanzia del quotidiano soddisfacimento di quelli che Abraham Maslow, nella sua teoria sulla gerarchia dei bisogni, avrebbe definito bisogni primari. 

Con il trascorrere del tempo e la nascita delle grandi aree metropolitane il principio del “mutuo-auto-aiuto” ha lasciato via via il posto ad un sempre più controverso principio di solidarietà che ai nostri giorni ha assunto le caratteristiche di una scelta, ovvero di un comportamento opzionale piuttosto che di una necessaria e funzionale risposta individuale alle necessità di una comunità. 

In questo modo abbiamo alimentato un’idea “delegata” della nostra sicurezza, in virtù della quale abbiamo generato e istituzionalizzato sistemi e organizzazioni di risposta alle crisi e alle emergenze. 

Così facendo, tra l'altro, abbiamo intimamente legato l’idea della nostra sicurezza rispetto ai rischi naturali e antropici al surplus di risorse di cui può disporre un determinato territorio, ovvero alla sostenibilità economica della nostra capacità di risposta". 

"Nel passato si è tentato, più volte e senza ottenere grandi risultati, di riequilibrare il modello “delegato” con un approccio “partecipato”, nel quale ogni soccorritore ed ogni singolo componente di una comunità possa sentirsi attivamente coinvolto, e non solo nei momenti di crisi e nelle emergenze. 

A me sembra che proprio la complessa e dolorosa esperienza dell’emergenza sanitaria che stiamo attraversando da quasi due anni ci abbia messo di fronte ad una rinnovata consapevolezza del ruolo sociale che ognuno di noi, soccorritore o no, può svolgere all’interno della propria comunità al fine di renderla più sicura e resiliente. 

Voglio dire che la pandemia da Covid-19 ha drasticamente fatto riemergere come ognuno di noi è titolare di una responsabilità sociale che si esprime attraverso gli inevitabili effetti sistemici derivati dalle proprie scelte e dalle azioni conseguenti e che comportamenti apparentemente individuali o di pochi, in un mondo intimamente e velocemente interconnesso, possono avere ricadute significative e talvolta drammatiche sull’intera comunità". 

"Penso sia arrivato il momento di condividere una riflessione su quanto importati possano essere le scelte e le azioni di un soccorritore, in particolare, quelle alle quali egli stesso da visibilità attraverso l’uso dei social media, rendendo di fatto pubbliche il proprio pensiero e le proprie affermazioni. 

E’ quello il momento in cui, il soccorritore, si assume la precisa responsabilità sociale di quanto i propri convincimenti e le proprie scelte possano influenzare quelle degli altri. 

Immaginiamo quanto il pensiero, le scelte e le azioni di un soccorritore, che gode di un particolare riconoscimento sociale ovvero di una credibilità che non viene attribuita nella stessa misura ad altri, possano orientare le scelte e le decisioni di questi altri, oltre che poter influenzare l’orientamento di una parte anche significativa dell’opinione pubblica, soprattutto, sugli argomenti nei confronti dei quali gli viene riconosciuta una specifica expertise. 

In quest’ottica trovo possibile considerare il soccorritore al pari di un “influencer”, quantomeno nel settore in cui opera e, come tale, immaginarlo come un fattore sociale che può facilitare e promuovere anche scelte e conseguenti decisioni collettive. 

Da questa prospettiva discende, per il soccorritore, anche la necessità di accedere ed utilizzare i social media in modo appropriato, consapevole e responsabile. 

Questo approccio ci porta a considerare il soccorritore un elemento proattivo di resilienza sociale, un potenziale “portatore sano” di equilibrio e stabilità emotiva, soprattutto nei contesti di crisi e di emergenza che per definizione sono contesti destrutturati e destrutturanti e che, proprio per questo motivo, necessitano della ricostruzione di abitudini e ritualità quotidiane al fine di sostenere le persone nel riappropriasi di un sano senso di controllo sulle proprie vite e nella ricerca di un nuovo equilibrio". 

"Proviamo adesso a rileggere il tradizionale spirito di abnegazione del soccorritore attraverso il senso di appartenenza alla comunità ed il senso di responsabilità nella relazione di aiuto e nell’assunzione del proprio ruolo sociale. 

Immaginiamo di consolidare questo senso di appartenenza non solo nei confronti dell’organizzazione per la quale lavora o presta volontariamente la sua opera, bensì nei confronti del sistema di risposta alle emergenze e, ancor più, nei confronti del contesto sociale di riferimento e dell'intero sistema Paese. 

In questa prospettiva, il soccorritore, assumerebbe anche il ruolo di una significativa variabile sociale in grado di promuovere comportamenti efficaci e responsabili anche in tempo di quiete, oltre che agevolare comportamenti appropriati di protezione e comportamenti adattivi e funzionali nei momenti di crisi e in emergenza. 

Si comincerebbe concretamente anche a riconsiderare la visione “eroica” del soccorritore che nell’immaginario collettivo è associato ad un essere mitologico e che, in quanto tale, non ha bisogni, desideri e aspettative riconducibili a quelle umane. 

Si inizierebbe a pensare al soccorritore come ad un professionista che ha bisogno di strumenti, mezzi ed attrezzature adeguate per fare bene ed in sicurezza il proprio lavoro, un professionista che può anche decide consapevolmente di correre rischi straordinari e di superare quella sottile linea rossa che lo separa dal rischio considerato accettabile, che è un modo diverso per definire un "gesto" eroico". 

"Il tempo che verrà sarà il tempo della "cura" e della riconciliazione.  In questa prospettiva, il soccorritore, cosciente del proprio ruolo sociale nella relazione di aiuto, potrà partecipare in modo proattivo e consapevole al processo di ricostruzione di un ritrovato senso di comunità e di "normalità"