Smart working a video spento Sì alla privacy

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Giorgio

Caccamo

Bisogna sempre fidarsi di chi ne sa più di noi. Il Wall Street Journal, autorevolissimo, a un anno dall’inizio del grande lockdown lancia una proposta: una carta dei diritti per lo smart working. Prima regola: "Il diritto di non essere ripreso dalla telecamera e non essere videosorvegliato. La tua casa ora è il tuo ufficio, ma questo non significa che appartenga al tuo capo. Hai diritto alla privacy".

Dove si firma? Finalmente verrebbe riconosciuto il diritto al pudore, alla barba incolta e disordinata, ai capelli lunghi ("eh, neanche io vado dal barbiere...", copyright di un signore siciliano autorevole quanto il Wall Street Journal), a un comodo vestiario casalingo (no, il pigiama no, quello no!), allo spuntino furtivo senza che nessuno controlli pure la dieta e le calorie da remoto, anche il diritto a qualche smorfia, perché no. Seconda regola: "Tutto ciò che appare sulla videocamera, come figli o animali, non deve essere usato contro di te in un contesto di verifica delle prestazioni". Giusto, quello che conta è fare il proprio lavoro bene, non il gatto che passeggia sulla tastiera del pc o il bimbo che scorrazza in salotto. Anzi – per chi ce l’ha – quelle sono note di vitalità nel grigiore del lavoro virtuale, fanno compagnia.

Oddio, forse è solo che non fa piacere mostrare quella parete bianca, desolata e desolante, sopra il divano in disordine. Magari basterebbe soltanto cambiare lato del tavolo e mostrare orgogliosi i libri letti (che però si impolverano sugli scaffali). Ah già, meglio di no: anche lì è tutto in disordine...