Mercoledì 24 Aprile 2024

Sindacati, la fuga dei giovani. "Nessuno ci tutela"

Pochi iscritti tra gli atipici e i precari: "Sfiduciati e delusi"

Una manifestazione della Cgil

Una manifestazione della Cgil

Roma, 22 maggio 2017 -  Sfiducia, rabbia, disaffezione. I giovani lavoratori europei, nonostante siano strapazzati tra contratti precari, gig economy (l’economia dei lavoretti) e flessibilità che spesso fa rima con paghe da fame, nel 90% dei casi non si rivolgono al sindacato. E in Italia, dove la densità sindacale è tra le più alte dell’Ue seconda solo ai Paesi scandinavi, se s’iscrivono, lo fanno con percentuali molto basse rispetto allo ‘zoccolo duro’ dei tesserati rappresentati dai pensionati.

Una ricerca di Adapt, YOUnion, in collaborazione con la Commissione europea, dice che il 30% dei giovani tra i 18 e i 29 anni percepisce l’azione dei sindacati come «insoddisfacente». Ma già prima della crisi economica – si legge nel libro di Mimmo Carrieri e Paolo Feltrin, ‘Al bivio. Lavoro, sindacato e rappresentanza nell’Italia di oggi ’ (Donzelli) – la differenza di sindacalizzazione tra lavoratori under 30 e lavoratori tra i 45 e i 60 anni era del 30%.

UNA DELLE NOTE dolenti è la scarsa percentuale d’iscritti tra i cosiddetti «atipici» o precari. Qui la percentuale di giovani è un po’ più alta della media dei tesserati dei sindacati confederali, ma le iscrizioni latitano. NidiL-Cgil, Felsa-Cisl e UilTemp sono le strutture che si occupano degli «atipici» e non nascondono le difficoltà. Fabio De Marco, 34 anni, co.co.co, era uno dei tanti precari, scettico e deluso dal sindacato. Oggi, invece, è rappresentante della Felsa-Cisl (la federazione della Cisl che si occupa dei precari) alla Città della salute di Torino.

«I precari sono sfiduciati. Sono delusi dalla loro condizione lavorativa e dal sindacato si aspettano miracoli. Non faccio altro che sentire questa frase: ‘A quelli interessano solo le tessere’. Oppure, quando va bene: ‘Non ho 60 euro per iscrivermi’. Li capisco, ero come loro. Oggi, però, penso che il sindacato dia più coraggio, se si è in una condizione di debolezza».

Se la difficoltà di attirare questo tipo di lavoratori è altissima, coi fattorini di Foodora, la startup tedesca che consegna cibo a domicilio, l’impresa è quasi impossibile. Qui, a ‘gestire’ lavoratori e turni, è un’app. E avvicinarli e coinvolgerli coi ‘metodi’ tradizionali (vedi le assemblee in fabbrica) pare quasi anacronistico. Lucia Grossi, 34 anni, segretaria generale di UilTemp (gli atipici Uil) racconta che più della disaffezione incide la paura: «I riders di Foodora o Deliveroo vanno a lavorare monitorando un’app. Non hanno busta paga e a volte neanche una retribuzione mensile. Per loro iscriversi al sindacato è un rischio». Il nodo è la composizione dei tre maggiori sindacati italiani.

La Cgil ha una potenza di fuoco di 5,5 milioni di iscritti. Tantissimi, se li confrontiamo con quelli del Pd, ad esempio, che si ferma a poco più di 400mila. Ma se guardiamo alla distinzione ‘attivi’ e ‘non attivi’ scopriamo che più della metà (quasi 3 milioni) sono dello Spi, cioè pensionati. Anche unendo tutte le federazioni dei cosiddetti attivi (cioè che lavorano), lo Spi non ha rivali: 2.938.956 a 2.600.516 (dati 2015, gli ultimi disponibili). Nel 2013, la tendenza era simile. Gli iscritti totali erano circa 200mila in più, ma le proporzioni identiche: quasi 3 milioni di pensionati, poco più di 2,7 milioni gli attivi. In Cisl, che conta oltre 4 milioni di iscritti, gli attivi (oltre 2,3 milioni) battono di poco i pensionati di Fnp, quasi 2 milioni. In Uil, invece, sui 2.249.727 iscritti del 2016, gli attivi si fermano a 1,3 milioni e i pensionati sono 583mila. E i giovani? Nel 2015 la percentuale di under 35 sul totale dei tesserati Cgil era del 17,25%; tre anni prima del 21,6%. Ma in Cisl va peggio. Nel 2016, il tasso di under 30 è stato dell’8%. I tesserati Uil, invece, si dividono in tre: un terzo ha meno di 45 anni; un terzo tra i 45 e i 65 anni; un terzo più di 65. Gli under 35 sono circa il 22% degli iscritti.

Il capitolo precari (contratti a tempo determinato, somministrati, collaboratori e partita Iva) è l’altra faccia della questione. Claudio Treves, segretario NidiL-Cgil, si riferisce a una platea di precari di circa 3,5/4 milioni, escludendo il sommerso che vale altri 3 milioni, e i suoi iscritti sono poco più di 75mila. «Negli anni ’70 – spiega – se entravo in azienda, su 100 lavoratori il 50% s’iscriveva. Oggi, tra co.co.co, partite Iva e somministrati, il t urn over è altissimo. Morale: sui 75mila iscritti del 2015, 55mila sono tessere ex novo ». Tradotto: ogni anno il 70-80% dei precari va risindacalizzato, facendo fatica doppia. Sulla stessa linea Daniel Zanda, componente della segreteria della Felsa-Cisl nazionale: «A volte ci sono lavoratori che fanno contratti di una settimana, riuscire a intercettarli è difficile. Sui nostri 40/45mila iscritti, l’età media è inferiore ai 40 anni». Del resto, spiega Grossi, segretaria generale di UilTemp, «quando ti capita un lavoratore con 190 Cud in un anno, come fai a farlo iscrivere al sindacato?».