Siena è candidata a produrre uno dei sieri

Dalla Cgil al presidente della Toscana Eugenio Giani, dal ministro della Sanità Roberto Speranza al premier Mario Draghi, tutti guardano al polo Gsk di Rosia, a pochi chilometri da Siena, come avamposto in Italia per la produzione di vaccini anti Covid. Il pressing del sindacato dura da mesi, da quando c’era solo il vaccino Pfizer; quelli del presidente della Regione e del ministro sono più recenti. Ma sono tutti appelli tardivi, rispetto al grido d’allarme che Rino Rappuoli, il pioniere dei vaccini di nuova generazione, lanciò nel 2015, all’epoca dell’accordo tra giganti Novartis e Gsk. L’Antritrust europeo impose a Gsk di vendere la produzione di vaccini antinfluenzali all’australiana Seqirus, per evitare la posizione dominante. "L’Italia non può perdere una produzione strategica in caso di pandemia", gridò Rappuoli, a capo dei poli senesi che passarono da Novartis a Gsk.

Può Gsk dedicarsi ai vaccini antiCovid a Rosia? Il responsabile della produzione, David Serp, ha escluso la possibilità di produrre dosi di Pfizer-BioNtech o Moderna. Anche perché sono vaccini a mRna, non compatibili con le linee produttive senesi. Stessa storia per CureVac; appena sarà validato dall’Ema, Gsk produrrà 100 milioni di dosi. Ma nello stabilimento in Belgio.

L’azienda senese, però, ha una flessibilità tale che se il Governo e la Regione mettessero in campo un progetto ben strutturato, con l’ausilio anche di fondi europei, potrebbe produrre e infialare dosi del vaccino Johnson & Johnson, a Dna, che dovrebbe arrivare a marzo in Europa. Oppure produrre vaccini della canadese Medicago, società biotecnologica con la quale c’è già un accordo per gli adiuvanti. Per Sputnik V è un altro discorso, bisogna aspettare l’Ema.

Pino Di Blasio