"Sicurezza? Le regole sono rigide" L’ex campione: assurdo morire così

La leggenda del rally, Biasion: "Sono sconvolto. Il pilota dello schianto forse non riuscirà più a correre"

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di Alessandro Belardetti

Nella sua più che trentennale carriera ha vinto due campionati del mondo, un campionato europeo e un titolo italiano. Solo per citare la crema del palmares di Massimo, per tutti Miki, Biasion: il fenomeno del rally italiano. Oggi ha 63 anni, un’officina di restauro di Lancia Delta, partecipa a gare di auto d’epoca e segue da spettatore le corse automobilistiche. In questi giorni il bassanese, insignito del collare d’oro al merito sportivo (la massima onorificenza del comitato olimpico nazionale), è in Svizzera e al momento della telefonata era completamente all’oscuro della tragedia che spaccava l’Italia dopo l’incidente del Rally dell’Appennino reggiano. "Cosa è successo? Non ci credo, sono sconvolto: aspetti un attimo, devo fermarmi".

Lei – dal 1979 al 2013 – ha corso a qualsiasi latitudine, in ogni condizione atmosferica e in tutte le competizioni mondiali. Le è mai capitato di piombare sulla folla con la sua vettura da rally?

"Mai, per fortuna. Magari ad alta velocità in qualche tornante più complesso ho toccato gli spettatori con una scodata. Ma ai miei tempi la sicurezza era un’altra cosa, non c’erano tutti i limiti che vengono imposti adesso. Gli anni Settanta e Ottanta sono stati il culmine del pericolo in pista, con auto potentissime e pubblico ingestibile. Sono stati fatti passi da gigante nei sistemi di protezione e prevenzione degli schianti".

Ora gli standard di sicurezza sono alti durante i rally?

"Queste gare negli ultimi tempi hanno raggiunto livelli di sicurezza, rispetto ai piloti e al pubblico, mai visti. Per questo motivo mi fa malissimo al cuore sapere che oggi (ieri, ndr) sono morti due giovani spettatori. Questa tragedia mi sorprende molto. Gli organizzatori adesso sono obbligati dalla Federazione automobilistica a rendere meno pericoloso possibile il tracciato, le regole sono molto severe".

Però in quel tratto di strada non c’erano barriere protettive.

"Su questo non posso dire molto, toccherà agli investigatori accertare le responsabilità".

È esagerato dire che l’automobilismo è uno sport in cui si rischia in ogni gara la vita?

"Assolutamente sì. Le vetture che corrono oggi sono fornite di cellule di sicurezza efficaci. Infatti, anche nei campionati del mondo si assiste ai incidenti spettacolari, ma i piloti ne escono senza conseguenze. Io non conosco la dinamica dell’incidente nel Reggiano, ma bisogna valutare tanti aspetti. Se gli spettatori erano in una zona vietata al pubblico, se nel luogo della sbandata c’erano ostacoli, se l’auto ha avuto un guasto...".

Il pilota, che assieme al suo navigatore, ha travolto gli spettatori sulla montagnetta al fianco della strada, riuscirà a tornare a guidare un’autovettura da competizione?

"Non credo. Poi dipende se uno lo fa per divertimento oppure a livello professionistico, un trauma così comunque non sarà facile da superare. Però, ripeto, non conosco i dettagli e da come lo descrive lei, l’incidente con un’auto impazzita potrebbe essere stato causato da un guasto meccanico".

Voi piloti, comunque, siete sempre un po’ spericolati. Per definizione.

"Siamo delle teste pazze, ma abbiamo cervello e dobbiamo andare a scuola per poter guidare. Per avere la licenza ci sono controlli e norme molto rigide, non tutti possono stare al volante di quelle auto".

Una delle vittime era un amico del pilota e si era avvicinato troppo alla strada per incitarlo. Proprio in quel momento.

"Pensa te. Pazzesco, ancora non ci credo, sono sconvolto".

Ha mai gareggiato al Rally dell’Appennino reggiano?

"No, non conosco bene questa competizione".