Siamo fratelli nel grande clan che ci accoglie

Viviana

Ponchia

Ci vogliono due uomini per fare un fratello. E a volte non basta, deve intervenire un giudice. Qualcosa di simile era successo a Bologna, la storia che si ripete a Verona conferma che tutto cambia e non sempre in peggio. Due donne unite civilmente mettono al mondo i rispettivi bambini da donatori anonimi e incrociano la stepchild adoption, cioè una diventa specularmente mamma del figlio dell’altra. Un po’ ingarbugliato, ma potersi incasinare la vita a piacimento è già una vittoria. Peccato che per molti mesi abbiano perso tutti, a cominciare dalla logica: per la legge i maschietti non avevano gli stessi genitori e dunque non erano parenti.

Ora il Tribunale per i minorenni di Venezia cambia la prospettiva: il vincolo di fratellanza è un effetto automatico dell’adozione. E i piccoli, oltre a diventare fratelli, ereditano in blocco nonni, zii, cugini e l’obbligo di assistenza familiare. Loro non sia accorgeranno di niente: cresceranno insieme, si ameranno e faranno a botte come da copione e solo fra molti anni potranno darsi dell’angelo o della carogna. Nel frattempo esultano i genitori arcobaleno, mentre gli obiettori da taverna che sputano sui parenti serpenti, i cugini assassini e i fratelli coltelli lo reputano un pessimo affare. Le famiglie sono posti strani, sia che le cose si facciano alla vecchia maniera sia che intervenga un giudice a mettere ordine. Ma in questi tempi striminziti di monolocali e monoporzioni, di incertezza e solitudine, un clan che si allarga e accoglie è comunque una consolazione.