Siamo cambiati. Serve un mix tra casa e ufficio

Pentiti dello smart working

Guido Bandera

Guido Bandera

Nel Paese dei Capuleti e dei Montecchi l’unico luogo comune poco frequentato è la via di mezzo. Nel novero dei nefasti regali della pandemia ci sono due nuovi tipi umani: l’ayatollah dello smart-working e il pasdaran del lavoro in presenza. Il primo, in eterno pigiamone a scacchi, farà capolino col capello unto o arruffato quando, per errore, tarderà a spegnere la telecamera in riunione.

E lo troverete invecchiato di dieci anni. Al telefono vi farà sentire compiaciuto il cinguettio degli uccellini, delle cui specie vi citerà anche il nome in latino, magnificherà il suo giardino, scuoterà la testa con compatimento se gli direte che pagate ancora il casello dell’autostrada. E mentirà selvaggiamente quando vi dirà che ha ritrovato l’armonia con i figli che, invece, gli devastano i nervi con la didattica a distanza. Da squadrare con sospetto anche il tipo opposto, il signore dell’ufficio deserto, unico dominatore di quelle file di scrivanie vuote. Per lui, il gusto catramato del caffè del distributore è come l’odore del napalm alla mattina per gli elicotteristi di “Apocalypse Now“. Felice di non avere rompiscatole attorno si dedicerà al rito laico del lavoro. Fra i due archetipi, però, c’è da cercare una sintesi. Il più possibile saggia. C’è da scegliere il meglio delle due esperienze e scoprire una ragionata flessibilità, che alterni scrivania di casa e pc dell’ufficio, che consenta di esercitare un impegno rigoroso senza perdersi pianti e sorrisi dei figli. Passando dall’ossessione dell’orario alla considerazione della qualità dei risultati. Ma siamo pronti?