Venerdì 19 Aprile 2024

Si pente dopo 50 anni per il reperto rubato

Un anonimo scrive alla Soprintendenza e restituisce il frammento dell’epoca romana: "Mi vergogno di quello che ho fatto"

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di Nino Femiani

"Cinquanta anni fa ho asportato da un edificio questo frammento. Me ne vergogno e lo restituisco al proprietario. Scusate". Con queste parole un anonimo cittadino ha restituito alla Sovrintendenza archeologica di Pompei un frammento di antefissa. L’antefissa è un elemento tipico della copertura dei tetti posto sulla testata delle travi del tetto o a occlusione dei canali terminali delle tegole negli edifici greci, etruschi e romani. Spesso ha forma di testa umana o di gorgone (un mostro della mitologia classica).

Il pezzo restituito ritrae il volto di una donna in terracotta ed era parte sporgente e decorativa dei tetti delle domus antiche. Il reperto è stato fotografato insieme al biglietto di scuse e la foto è stata pubblicata su Instagram dal direttore generale ad interim della Soprintendenza, Massimo Osanna, che ha commentato al QN: "A volte ritornano. Ormai ogni settimana arriva al Parco archeologico di Pompei un pacchetto proveniente da le parti più dovere del mondo contenente vari reperti, da semplici pietre vulcaniche a tessere di mosaici, da frammenti di tegole e di vasellame fino a decorazioni di tetti delle case come l’antefissa appena tornata a casa. Le lettere che accompagnano spesso i reperti hanno motivazioni varie, dalla sfortuna che colpisce che asporta oggetti da Pompei al rilordo per aver recato danno al patrimonio. È in ogni caso un segnale positivo che fa registrare un interesse sempre più diffuso per il nostro straordinario patrimonio e una presa di coscienza della necessità di sentirsi partecipi di un patrimonio che è di tutti e va protetto e rispettato!".

Il frammento non è più grande di una decina di centimetri – nei depositi della Soprintendenza ne sono presenti centinaia –, ma l’accompagna il grande fascino della bellezza del decoro e della irripetibilità di un oggetto che data 79 dopo Cristo. Il furto avvenuto mezzo secolo fa si spiega con le scarne misure di sorveglianza allora in atto. Oggi sarebbe ben più difficile trafugare un pezzo della storia degli Scavi. Attualmente, l’antica Pompei è "osservata" giorno e notte da 400 telecamere di videosorveglianza sui 44 ettari di scavi, oltre che da alcune decine di custodi a turno. A spingere versa la restituzione dei reperti trafugati è anche la "leggenda della maledizione". Ogni anno arrivano negli uffici della Soprintendenza decine di lettere e pacchetti contenenti piccole pietre di roccia vulcanica, frammenti di muri e pavimenti, cocci di ceramica e, qualche volta, anche pezzi di affreschi o di mosaici: si tratta di pezzi, più o meno importanti, rubati dalle rovine della città antica. Il tutto è spesso accompagnato – come ieri – da una lettera che esprime sincero pentimento.

Il motivo del "come back" è anche legato alla superstizione. Si dice che i resti della tragedia di Pompei portino sfortuna a chi li porta via. È la cosiddetta "maledizione di Pompei", ovvero: disgrazie a non finire per chi sottrae pezzi dell’antica città sepolta dal Vesuvio. "Quella maledizione – dice Carlo Avvisati, giornalista e autore di numerose pubblicazioni sui Pompei – è una leggenda nata con un aforisma di Benedetto Croce, ovvero ‘non è vero ma ci credo’. Anche perché resta da capire perché la maledizione colpisca solo per i reperti trafugati a Pompei e non per quelli predati a Ercolano o Oplontis".