Mercoledì 24 Aprile 2024

Si muove la Cina. E lo scenario può cambiare

Dopo un anno di guerra in Ucraina, si muove Pechino. Il piano di pace somiglia più a una resa, ma questa discesa in campo ha un grande valore simbolico

Agnese Pini

Agnese Pini

"Spetta a chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo". Ricordate questa frase? Dobbiamo tornare indietro di quasi un anno (era la metà di marzo del 2022), a pronunciarla fu Xi Jinping. All’epoca, gli esegeti del pensiero cinese si affrettarono a spiegare: la tigre è Putin, il sonaglio è la Nato, ad attaccarlo al collo di Putin sono stati gli Usa, e dunque il compito di fermare la guerra spetta a Biden. Tradotto per noi mortali: lasciate la Cina fuori dalla guerra in Ucraina. E così è stato per un anno, almeno in apparenza. Il gigante cinese, evocato fin dallo scoppio della guerra da molti opinion maker occidentali come l’unico possibile attore in grado di placare la furia putiniana e disinnescare le condizioni del conflitto – si diceva: "Questa guerra non fa comodo a nessuno e men che mai alla Cina" – si è semplicemente occupato delle cose sue per dodici mesi, infischiandosene dei bombardamenti su Kiev, dei crucci dell’Europa e dell’interventismo di Biden, proprio come annunciato.

Ebbene: un anno dopo, mentre ci apprestiamo a fare i bilanci e la morale del conflitto, il gigante cinese improvvisamente si risveglia, sembra volerci offrire la soluzione di una guerra che doveva essere lampo e che rischia di diventare infinita. In realtà, quello proposto da Xi non è un piano di pace ma il deludente suggerimento di una resa. Le reazioni dell’occidente sono immediate: prima stupore, poi indignazione. Ma il rischio è di sottovalutare la mossa cinese: date le premesse del marzo 2022, infatti, l’apertura di Pechino assume un valore simbolico molto pesante. L’unico che sembra averlo capito davvero è Zelensky, tanto è vero che il presidente ucraino ha dichiarato di voler incontrare Xi Jinping. Del resto, se gli Usa non riescono a togliere il sonaglio dal collo della tigre, l’unica possibilità è rivolgersi proprio al padrone della tigre: la Cina, appunto. Che per la prima volta, da un anno a questa parte, ha dato prova almeno di poter ascoltare.